Intervista a Nicola Verlato

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Galleria Bonelli Milano

di Edoardo Pilutti

Undici opere tra sculture e dipinti, alcuni dei quali di dimensioni monumentali, lasciano sorpresi alla galleria Bonelli per la loro icasticità e contemporaneamente per la loro complessità. Sono lavori che trattano temi filosofici come il rapporto tra arte e scienza, fenomeni di cultura giovanile di massa riguardanti stelle della musica rock, il progetto del fregio per un futuro mausoleo a P. P. Pasolini, assassini e suicidi del passato remoto e del passato prossimo, collegamenti tra mitologie classiche e mitologie contemporanee, le catastrofi climatiche.

Tutti comunicano una sottile agitazione, un’inquietudine e un’irrequietezza che traspaiono dalle movimentate raffigurazioni stesse, e che sono una garanzia di arte autentica.

Abbiamo incontrato l’autore, Nicola Verlato (del quale è ora esposto un altro grande dipinto in Triennale, alla collettiva Pittura Italiana Oggi, a cura di Damiano Gullì), e gli abbiamo posto alcune domande.

Già durante la preadolescenza sei andato a scuola di disegno da un frate: come mai quella scelta?

(N. Verlato) Vivevo con la mia famiglia in campagna in provincia di Vicenza; ho cominciato prestissimo a interessarmi alla pittura, quando avevo 5 o 6 anni volevo  diventare uno scultore, ma poi ho cambiato idea… Avevo già un carattere molto determinato, per cui ho continuato a insistere a casa perché volevo trovare qualcuno che mi insegnasse a dipingere.

La mia famiglia aveva un’azienda vinicola sui Colli Berici, per cui dei clienti che venivano lì e vedevano i miei disegni e dipinti non solo li volevano acquistare ( ho cominciato a vendere dei  dipinti che avevo 9 anni) ma dissero anche ai miei genitori che c’era un frate in un monastero vicino che dava lezioni di pittura.

Era un frate romano, fra’ Terenzio: sono andato alla sua scuola tutte le estati dai 9 ai 14 anni ad imparare una tecnica accademica di disegno molto rigoroso. Nonostante avessi solo 9 anni, mentre gli altri allievi ne avevano dai 14 ai 30, venivo considerato come tutti gli altri; quindi, se lui chiedeva a uno di trent’anni di disegnare una scultura del chiostro, lo chiedeva anche a me: gli sono sempre molto riconoscente per l’impostazione che mi ha dato e che io stavo cercando.

Cosa ci puoi dire ancora della tua famiglia di origine?

(N. V.) Da parte di mio padre, per tradizione familiare, c’era un certo interesse per l’arte: mio padre stesso faceva dei dipinti ogni tanto, e nella biblioteca di famiglia avevo scoperto di avere l’edizione originale del Trattato di pittura di de Chirico del 1928. Qualche prozio probabilmente l’aveva comprato a quel tempo. Avevamo anche moltissimi libri d’arte di editoria popolare (una produzione dell’editoria solo italiana  negli anni Sessanta) come I Maestri del colore, i Classici dell’Arte della Rizzoli, Capolavori Italiani nei Secoli della Fratelli Fabbri. Avevo dunque a disposizione tutta la storia dell’arte in formato enciclopedico.

Da parte di mia mamma c’è sempre stato un grande entusiasmo sia per l’arte che per la musica:  avevamo in casa moltissimi dischi di musica classica. Insomma, pittura, musica e scultura erano parte integrante dell’ambiente  familiare.

Hai parlato di un paesino sperduto nella campagna veneta dove sei vissuto nella fanciullezza, qual è il suo nome?

(N. V.) Si chiamava, si chiama Meledo, che è una frazione di Sarego vicino a Lonigo; sono paesini alle pendici dei Colli Berici, in provincia di Vicenza.

Io sono nato a Verona però poi sono cresciuto per i miei primi 5 anni in provincia, a Soave. La mia famiglia poi si è trasferita a Meledo perché lì c’era una bella campagna ricca di vigneti: mio padre era un enologo e oltre a fare consulenza alle aziende vinicole altrui, aveva l’intenzione anche di produrre lui stesso del vino. 

Hai studiato architettura?

(N. V.) Prima avevo preso la maturità al liceo artistico, da privatista, senza frequentarlo.  In seguito ho studiato architettura a lungo, all’Istituto Universitario di Venezia, ma non mi sono mai laureato. Avevo studiato anche al Conservatorio di Verona, prima il liuto, poi composizione musicale, anche con professori del Conservatorio di Padova, mentre continuavo sempre a dipingere. E alla fine, con uno dei miei soliti colpi di testa, mi sono dedicato solo alla pittura, senza iscrivermi all’Accademia che non m’interessava per come era impostata.

Hai accennato ai tuoi soliti colpi di testa. Perché, cosa ti succede ogni tanto?

(N. V.) Perché in me covano sempre delle idee anche abbastanza in conflitto fra di loro, per cui dopo un po’, prendo delle decisioni improvvise: per esempio a un certo punto sono andato ad abitare a Milano; mi sono spostato da Venezia senza conoscere praticamente nessuno. Poi, da un giorno all’altro, mi sono trasferito in America. In realtà sarei molto sedentario, però ogni tanto cambio improvvisamente e vado da una parte all’altra: di solito sono cicli di 7 anni: in America sono stato a New York 7 anni, dal 2004 al 2011, e a Los Angeles altri 7 anni dal 2011 al 2017.

Ora dove hai lo studio e dove risiedi?

(N. V.) Abito a Roma, ho lo studio a dieci minuti a piedi dal Colosseo. Sono sei anni che sto a Roma per cui l’anno prossimo dovrei andare altrove, ma mia moglie non vuole assolutamente trasferirsi: magari rimarrò A Roma più a lungo, vedremo. Mia moglie, in quanto giapponese, è molto determinata sulle decisioni prese, ai giapponesi non piace cambiare.

Come hai conosciuto tua moglie?

(N. V.) L’ho conosciuta a New York, lei studiava cinema. Abbiamo avuto una figlia, quindi da mamma si è dedicata molto alla bimba e adesso sta facendo delle xilografie.

Sarà una domanda banale ma da cosa trai ispirazione per i tuoi dipinti?

(N. V.) Penso di avere un punto fisso sempre in testa che è il corpo umano, il corpo umano in varie posizioni nello spazio. A me interessa soprattutto la rappresentazione del corpo umano all’interno di una narrativa: la cosa che mi interessa di più è riuscire a trasformare una narrativa lineare in una rappresentazione plastica che occupa lo spazio. Mi interessa del fare arte (aspetto che si ritrova anche nell’arte antica), la trasformazione da una narrativa lineare ad un fatto plastico:  il concentrare e coagulare una porzione di tempo in un’immagine, attraverso la mediazione di corpi rappresentati i quali sono ciò che davvero ci coinvolge emotivamente.

Ci sono varie teorie in merito, come il discorso dei neuroni specchio che si è sviluppato negli ultimi venti o venticinque anni: i neurologi hanno capito che ci sono delle basi neuronali che spiegano l’attrazione emotiva che l’essere umano avverte quando vede un corpo rappresentato sia in termini fotografici ma ancora di più in termini pittorici. È quello che anch’io ho provato fin da bambino davanti a determinati dipinti, in particolare davanti ai dipinti di Caravaggio.

Per narrativa lineare che cosa intendi?

(N. V.) Nel caso di Caravaggio si tratta molto spesso di narrazioni religiose, evangeliche. In altri artisti si tratta di narrazioni di tipo mitologico. Mi interessano anche le nostre nuove narrazioni: per esempio, in alcuni quadri ho lavorato su figure della cultura pop come Michael Jackson e Robert Johnson, oppure James Dean. Un altro esempio è tutto il ciclo di lavori che ho fatto su Pier Paolo Pasolini, dove ho cercato di trasmutare queste narrazioni moderne in rappresentazioni classiche.

Oltre al Caravaggio hai qualche altro maestro del passato o della contemporaneità a cui ti puoi riferire?

(N. V.) Partendo dal mio primo amore, Caravaggio, poi in senso cronologico Grünewald,  Pontormo, Leonardo, Michelangelo e Raffaello sono state le mie maggiori influenze. Pontormo con Rosso Fiorentino mi hanno affascinato per la complessità compositiva . A questi autori che sono prevalentemente del periodo rinascimentale barocco si è affiancato, nel tempo, anche un interesse molto forte per l’arte greca antica, per scultori come Fidia e Policleto. Del Novecento mi interessano autori come Sartorio e Wildt.

Il titolo della tua mostra è in inglese, Recent Highlights:come mai un titolo in inglese e ci puoi dire qualche cosa di più sul suo significato?                                                                                                                                           

(N. V.) E’ una tipica frase fatta molto usata in inglese, inoltre questo titolo voleva significare la presenza in mostra di alcuni dipinti molto grandi che appunto considero highlights, cioè esemplari  nella mia produzione. Sono quadri che hanno richiesto molto tempo per essere realizzati e che fanno capo a due progetti che sto portando avanti da molti anni: uno si chiama The merging che ho cominciato quando ero a Los Angeles per una grossa mostra fatta poi a Toronto; l’altro invece è quello su Pasolini che si chiama Hostia, in omaggio al nome latino della località romana, che è un progetto che cominciai una decina d’anni fa e che ho esposto in vari musei. Questa mostra è per la maggior parte basata su queste grandi opere che hanno viaggiato per vari musei in Italia e all’estero, e che finalmente approdano in uno spazio a Milano, città dove non sono mai state viste finora.

Dimmi qualcosa di più sul progetto Hostia che riguarda Pasolini: come mai la scelta di Pasolini, e come mai la scelta di questo titolo, Hostia?

(N. V.) Il progetto è nato a Los Angeles quando stavo lavorando su altre figure mitologiche mediatiche della contemporaneità. Stavo lavorando su figure come Michael Jackson, sul cantautore Robert Johnson, su James Dean, su Madonna e altri; poi mi sono domandato quale figura italiana avrebbe potuto essere inserita all’interno della lavorazione figurativa di quelle mitologie narrative, e mi sembrò che la figura di artista e intellettuale più potente che fosse emersa negli ultimi settant’anni in Italia fosse quella di Pasolini: non solo per l’importanza che ha avuto ma proprio perché nella sulla persona si era maturata una trasformazione dalla figura di intellettuale, poeta e regista a quella propriamente mediatica: Pasolini era sempre in televisione e su tutte le riviste popolari. Aveva riorientato tutta la sua poetica verso sé stesso, verso il proprio corpo.

Pasolini è un poeta che si fa corpo, però in lui a differenza delle altre figure monodimensionali della cultura popolare su cui stavo lavorando, si arriva a livelli di profondità inaudita.

Il titolo del progetto richiama la sua morte violenta, il suo assassinio avvenuto nel novembre 1975 ad Ostia.

(N. V.) Certo, uccisione che da alcuni è stata vista come un martirio. Martirio a cui sono state date varie interpretazioni, fra le quali c’è quella più interessante proprio perché paradossale: quella del pittore friulano Giuseppe Zigaina, suo conterraneo e amico fin dall’infanzia.  Zigaina aveva elaborato una teoria sulla morte di Pasolini basata proprio sugli scritti, sui film e sulla conoscenza personale che aveva dell’amico. Una teoria molto poetica, capace di evocare molte immagini che tendono verso una nuova mitologia: secondo Zigaina, Pasolini stesso  organizzò la sua morte violenta proprio per produrre, per mettere in scena, una forma reale  di martirio. Infatti, nell’analisi e nell’interpretazione (apparsa azzardata a molti) di Zigaina,  quell’evento così tragico si era rivelato essere costellato di vari simboli che egli aveva rintracciato negli scritti e nelle poesie di Pasolini stesso.

Parlaci di come procedi dall’ispirazione all’ideazione e poi alla realizzazione di un progetto: cosa avevi in mente inizialmente, come dai forma al progetto prima  di cominciare a eseguire un dipinto.

(N. V.) Di solito, come dicevo in precedenza, parto da narrative che mi hanno colpito particolarmente, oppure da un tema al quale voglio dare una forma, che voglio rendere visibile. Comincio a schizzare a matita o a penna su fogli di carta A4 fino a che trovo un motivo formale che riesce a contenere l’idea o la narrazione in un modo convincente. Questo è il momento più importante perché è lì che nasce la “Forma” che mi fa scoprire cose non previste. Non si tratta di illustrare quindi, bensì di trasmutare il tempo nello spazio. Nel far questo tutto muta di senso. Il passaggio successivo è la costruzione di un modello tridimensionale, in plastilina oppure con la grafica tridimensionale digitalizzata, dell’intera scena che poi esploro muovendo le luci, cambiando prospettiva e modificando la composizione, aggiungendo così dati e credibilità all’immagine.

Passo poi a dipingere. Una volta sulla tela possono cambiare di nuovo molti aspetti: la dimensione (soprattutto se ampia) produce quasi sempre modifiche sostanziali della composizione. Con questa procedura posso sempre tornare indietro a modificare la scena nel modello tridimensionale e rivedere il tutto anche quando il passaggio alle due dimensioni è già inoltrato. Si tratta poi di dipingere a strati sovrapposti secondo la logica tradizionale della grisaglia e delle velature. Anche nel dipingere molto può cambiare, il processo è sempre aperto.

Come mai nel titolo di quest’opera Assassinio di Christopher Marlowe- Pierpaolo Pasolini appunto c’è un collegamento tra Marlowe e Pasolini?

(N. V.) Perché ho dipinto quattro diverse versioni, quattro diverse ipotesi sulla morte di Pasolini legandomi all’idea che Pasolini aveva trattato nelle sue poesie di alcune diverse morti che poi sono molto simili a come morì egli stesso. Un’ipotesi riguarda un’analogia con l’assassinio di Cristopher Marlowe; una seconda riguarda la morte dei due Gracchi nell’antica Roma repubblicana. Questi quattro quadri rappresentano quattro diverse ipotesi: in uno si vede  Pasolini ucciso da un gruppo di persone, picchiato insieme a Pino Pelosi; un’altra ipotesi invece è rappresentata nel quadro di cui stiamo parlando, dove Pasolini interpreta la figura di Marlowe, e colui che lo uccide è Pelosi, calato in epoca elisabettiana quando accadde che il tragediografo, che stava aspettando un processo per blasfemia, venne ucciso da un suo amico con un coltello conficcato in un occhio.

A proposito invece del grande disegno Studio per Pierpaolo Pasolini e la ninfa Partenope, ci puoi dire qualcosa?

(N. V.) Ho fatto il disegno Pasolini e la ninfa Partenope appositamente per una mostra a Napoli dove avevo portato il progetto Hostia al Maschio Angioino, nella Cappella Palatina. Poiché Pasolini aveva scritto vari testi su Napoli, e ci aveva girato anche il Decamerone, volevo testimoniare il suo forte legame con la città partenopea. Ho voluto rappresentarlo di fronte alla Ninfa Partenope che era, nella tradizione della Magna Grecia, la deità antica protettrice di Napoli: insieme una donna bellissima ma anche un mostro cosa che rappresenta bene  l’anima molto complessa di Napoli, appunto, una città meravigliosa e anche mostruosa allo stesso tempo. L’ho voluto rappresentare come se fosse Edipo di fronte alla Sfinge, di fronte al mistero di Napoli.

In che senso è un mostro la ninfa Partenope?

(N. V.) Lei è bellissima nel volto ma è anche un mostro nel complesso poiché è un’arpia, una sirena nel senso greco del termine, cioè  un uccello con la testa e il torso di donna: le stesse sirene che cercarono di ammaliare e far naufragare Ulisse nell’Odissea.

Pricipali esposizioni

Le sue opere sono state esposte in numerose manifestazioni di livello internazionale, tra le quali: 53° Biennale di Venezia, Padiglione Italia, (2009); Biennale di Praga e di Tirana (2001, 2003 e 2004); Quadriennale di Roma (1996 e 2008). Triennale di Milano (2023). Galleria Civica di Trento (2023); Fondazione Made in Cloister di Napoli (2022); Villa D’Este a Tivoli (2022); MART,  Rovereto (2020; 2012); Finnish National Gallery, Helsinky (2020); National Fine Arts Museum, Stoccolma (2020); Fondazione Le Stelline, Milano (2017); MOCA Museum, Virginia (2016); Macro di Roma (2009); Palazzo Reale, Milano (2007), PAC, Milano (2007).

Negli ultimi anni ha tenuto mostre personali anche in importanti istituzioni museali quali: Cappella Palatina, Maschio Angioino, Napoli (2023); Palazzo Lanfranchi, Museo Nazionale, Matera (2022); Terme di Diocleziano, Museo Nazionale, Roma (2022); Matucana Cultural Center, Santiago del Cile (2016).

Le  opere di Verlato sono presenti nelle collezioni del MART di Trento e Rovereto;  al George Lucas Museum di Los Angeles (USA);  al MUSAC di Salamanca (ES); al MAX Mississippi Arts and Entertainment Experience, (USA); al MACRO Museo de Arte Contemporáneo de  Rosario, Argentina (AG); nella Jack Helgesen Family Collection, Oslo, (Norway); nella ENECO Art Collection, Rotterdam, Netherlands (NL); alla Fondazione MUDIMA, Milano.

fotografie di Edoardo Pilutti

edoardo.pilutti@gmail.com

Recent Highlights 

Nicola Verlato

26 ottobre-9 dicembre 2023

Galleria Giovanni Bonelli

via Luigi Porro Lambertenghi, 6

20159 Milano (Italy)

+39 02 87246945

info@galleriagiovannibonelli.it

martedì-sabato, ore 11 – 19 

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