Helmut Newton Legacy
Palazzo Reale – Milano
di Edoardo Pilutti

“Helmut Newton è una figura difficile da inquadrare. La maggior parte di noi crede di conoscere il suo lavoro, almeno nei suoi aspetti più importanti. Ma l’opera del fotografo tedesco-australiano è così prestigiosa ed emblematica che qualunque analisi sistematica con pretesa di esaustività è destinata a fallire.
Questa mostra, che dopo la sua presentazione a Berlino inaugura un tour internazionale, non è che l’ennesimo tentativo di avvicinarsi a quello che probabilmente resta il corpus fotografico più pubblicato al mondo, un’opera al contempo eterna e attuale che ancora oggi ci turba e ci affascina.”

Così presentano la grande mostra a Palazzo Reale i due curatori, Matthias Harder direttore della Helmut Newton Foundation di Berlino, e Denis Curti direttore artistico de Le Stanze della Fotografia a Venezia, i quali dichiarano come Newton abbia saputo evidenziare i cambiamenti del ruolo delle donne nella società mettendole metaforicamente su un piedistallo.
“Nelle sue prime fotografie si trattava più di un’abitudine di galanteria convenzionale; nel suo lavoro successivo diventa un chiaro riconoscimento del potere e dell’autorità femminile.”
I due curatori riconoscono l’unicità dello stile del grande fotografo proprio per la sua capacità di coniugare generi fotografici differenti, dando vita a immagini spesso provocatorie e voyeuristiche.
Promossa dal Comune di Milano-Cultura e prodotta da Palazzo Reale e Marsilio Arte, l’esposizione ripercorre attraverso 250 stampe fotografiche, numerose riviste, documenti vari e un video (un filmato diretto da June Newton nel 1995, che per 53 minuti riprende momenti della vita e del lavoro dal marito), l’intera carriera di un fotografo molto celebrato ma anche discusso.

Lungo un percorso suddiviso per decadi, si possono attraversare tutte le fasi della produzione di Newton, dagli esordi fino agli ultimi anni della sua vita.
Alcune delle sale della mostra sono contrassegnate da citazioni dello stesso fotografo, frasi che ne confermerebbero le intenzioni provocatorie e voyeuristiche, e potrebbero suggerirne di ulteriori: “La fotografia è sempre un modo di sedurre”. “Sono un voyeur professionista”.
Vi è anche una frase della moglie June che potrebbe sospingere a varie riflessioni: “Helmut è un grande manipolatore. Ama la teatralità della fotografia. Le modelle diventano le sue creature, i suoi personaggi”.
La teatralità e il desiderio di seduzione sono dei tratti nevrotici, isterici per l’esattezza.
Il voyerismo o scopofilia è considerata una perversione dalla psicopatologia, soltanto quando sostituisce l’atto sessuale nella ricerca di appagamento o quando non comporta ripugnanza derivante da visioni molto sgradevoli.

La manipolazione degli altri esseri umani è un tratto psicotico (peraltro presentato, più o meno, anche tanti prestanti dirigenti d’azienda), come pure l’interesse per la tematica del doppio, cioè per le immagini raddoppiate e per l’accostamento tra manichini e modelle, interesse riscontrabile in alcune delle fotografie esposte, che per lo più contengono elementi di intrigo.
E non vogliamo aggiungere che molte delle immagini di Helmut sono pervase da un gentile sadismo, e forse anche da un sottile masochismo attribuibile a chi ritrae quelle donne imponenti, dominanti, maestose e imperanti pur nella loro, o proprio per la loro esibita nudità?
Ora, ben lungi dal considerare il grande fotografo solo un nevrotico, un perverso o un folle, non si può non riconoscere che nel suo lavoro sono presenti tutti questi aspetti sublimati.
Addirittura il titolo della mostra, comprensibilmente in inglese avendo preso a Berlino l’avvio di un percorso che, dopo Milano, la porterà in altre capitali della cultura mondiale, potrebbe dar adito a suggestioni fantasiose, significando L’eredità di Helmut Newton,ma facendo galoppare la fantasia verso parole italiane assonanti, significanti ben altro.
E qui riemerge una tematica antica, apparsa sulla soglia della storia dell’arte già con Caravaggio e ripresentatasi indiscutibilmente con van Gogh: per fare la grande arte, bisogna proprio che genio e follia s’incontrino?

Nato a Berlino nel 1920 da una benestante famiglia ebrea, Helmut Neustadter già a 12 anni iniziò a fotografare la Funkturm cittadina, la torre della radio della capitale tedesca. Solo quattro anni dopo cominciò a lavorare come assistente dell’allora nota fotografa di moda Yva, nel cui studio scattò i suoi primi autoritratti. In seguito all’avvento di Hitler al potere, nel 1938 fu costretto a lasciare la città a causa delle persecuzioni contro gli ebrei e contro i comunisti nella Germania nazista.
Arrivò quindi in treno a Trieste e da qui si imbarcò per Singapore, dove lavorò per un breve periodo come fotogiornalista. Nel 1940 parti per l’Australia, stabilendosi a Melbourne dove apri uno studio fotografico e incontrò la sua futura moglie, l’attrice June Brunell, che divenne anche sua assistente.
In Australia trasformò il suo cognome in Newton, adattandolo alla lingua inglese. Nel 1956 tornò in Europa con la consorte e ottenne un contratto di collaborazione con British Vogue. A questo periodo appartengono numerose fotografie scattate nelle strade di Londra e sul confine franco-belga.

Fu poi attratto dall’alta moda e da Parigi, dove si stabilì nel 1961, e dove fu in grado di catturare lo spirito dei tempi, anticipando quasi la rivoluzione sessuale della fine del decennio, senza limitarsi alla rappresentazione, né, tantomeno, alla celebrazione dell’abbigliamento.
Nel 1981, come collaboratore di Vogue Italia e Vogue France, attua una innovazione che desta scalpore: dopo i consueti servizi per le riviste di moda, effettuati nei dintorni di Brescia e a Parigi, chiede alle indossatrici di spogliarsi e le ritrae nelle medesime pose, ma completamente nude.
Negli anni Novanta usa un approccio ancor più di ricerca, lavorando per editoriali di moda, per vari stilisti famosi e per aziende commerciali d’importanza internazionale. In occasione del suo ottantesimo compleanno gli viene dedicata una retrospettiva alla Neue Nationalgalerie di Berlino: la prima mostra di un fotografo mai allestita nell’importante edificio di Ludwig Mies van der Rohe.

Morirà nel 2004 a Los Angeles, pochi mesi prima dell’apertura della Fondazione che porta il suo nome a Berlino, della quale diventerà presidente la moglie June.
fotografie di Edoardo Pilutti edoardo.pilutti@gmail.com
HELMUT NEWTON LEGACY
Palazzo Reale, piazza Duomo, Milano
23 marzo – 25 giugno 2023
da martedì a domenica,
ore 10.00 – 19.30
giovedì chiusura ore 22.30
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