MIA Fair 2021 Milano

Fiera Internazionale di Fotografia

di Edoardo Pilutti

L’atmosfera all’interno del grande padiglione era elettrizzante, una nuova sede più ampia anche se decentrata, rispetto a quella degli anni passati che era sotto al grattacielo del Diamante, a due passi da Porta Nuova.

Per il suo decimo anno di attività, MIA Fair, la fiera internazionale (e ciò giustifica la denominazione anglosassone) dedicata alla fotografia, ideata e diretta da Fabio Castelli e Lorenza Castelli, si è tenuta lo scorso ottobre presso SUPERSTUDIO MAXI (via Moncucco 35, zona Famagosta) con la novità di due nuove sezioni: MIDA – Milan Image Design Art e Beyond Photography Contemporary – Dialogue.

Un centinaio sono state le gallerie selezionate dal comitato scientifico composto da Fabio Castelli, Gigliola Foschi ed Enrica Viganò, a cui si sono aggiunti una quarantina tra case editrici, librerie e progetti speciali.

Superati gli attenti controlli delle certificazioni vaccinali, ci si trovava immersi in un clima festoso tra gradevoli architetture d’interni e numerosissime esposizioni di stampe fotografiche: talvolta del medesimo, talaltra di più autori. E la gente era felice d’incontrarsi, pur con le mascherine alzate fin sopra al naso: qualche abbraccio avveniva in modo quasi clandestino, un baciamano è stato effettuato furtivamente. 

Molte erano le gallerie milanesi: 29 Arts in Progress, l’Affiche, Alessia Paladini Gallery, Valeria Bella, Blanchaert, c/e contemporary, Glenda Cinquegrana, Expowall, Fabbrica Eos, il Diaframma, mc2gallery, Podbielski Contemporary, Salamon Fine Art, Spazio Kryptos, Paola Sosio Contemporary, Still Fotografia, VS Arte Contemporanea. Senza dimenticare Made4Art con i lavori di cinque artisti incentrati su visioni architettoniche; fra gli altri, Stefano Tubaro (Codroipo, UD, 1960) il quale, attraverso l’illuminazione con lampade a filtri colorati, restituisce la realtà oniricamente distopica di interni di fabbriche e capannoni abbandonati e dismessi.

Vanno ricordati anche Tallulah Studio Art di Patrizia Madau, che presentava una collettiva intitolata “Cluster” (insieme, gruppo, folla), con, fra le tante, una stampa di Federica Angelino che immortalava dei poliziotti che assistevano incerti ad una manifestazione all’Arco della Pace. E lo Studio Masiero con le composizioni geometriche di luci e ombre create dalla ticinese Faby Bassetti, in una ricerca tesa a fermare il tempo, tenendo come riferimento e ispirazione uno dei primi filosofi greci: Eraclito.

Una base filosofica è presente anche nelle originali opere di Nicolò Quirico (Monza,1966) presentate da Federico Rui Arte Contemporanea. Quirico, partendo da immagini fotografiche della città deserta, modifica le prospettive a suo piacimento, arricchendole con ritagli di pagine di libri antichi e in sintonia con i soggetti ritratti: le pagine vengono incollate sul supporto e sul tutto viene alla fine, rocambolescamente, effettuata la stampa; le architetture ritratte sono, talvolta, sotto lo sguardo vigile di possenti statue a cui viene attribuito un pensiero speculativo: lo sguardo delle statue svolge anche una supplenza dei cittadini completamente assenti, chiusi negli edifici che avevano contribuito a costruire.     Sorprendente sapere che il progetto era stato iniziato dall’artista prima dello scoppio della pandemia, in seguito alla quale, almeno durante le più severe clausure e confinamenti, le città sono state rese davvero deserte. 

Un substrato filosofico si rileva anche nelle opere presentate da Antonia Jannone Disegni di Architettura, dove le immagini di Marco Palmieri derivano da un pensiero speculativo sull’atto architettonico arcaico, attraverso la rappresentazione di volumi semplici dai colori tenui: volumi che sono a volte giustapposti fra loro, ma spesso sfalsati, non in asse. Dal canto suo, Vera Caleca, col progetto “Dove sono quando non sono qui?” allude al mistero dell’al di là, del non-essere e del non-esserci, prendendo in considerazione l’essenza di uno spazio privo della frenesia dei corpi, in un futuro atemporale.

Qualche pensiero riflessivo fa da corollario anche alle stampe di Laura Pellerej, esposte dalla milanese SGallery: nel progetto “Almost White” dei paesaggi marini si stagliano e si stemperano nella luce abbagliante; isolotti, scogli, coste, fari sembrano dominare e contemporaneamente essere inghiottiti dall’acqua marina in una luminosità sfolgorante. Stessa sorte sembrano seguire anche delle nature morte raffiguranti una ribelle e sofisticata fauna ittica che continua a dare segni di vita.

Presenti in gran numero anche le gallerie straniere, soprattutto francesi, tedesche, statunitensi, come la Barry Friedman Ltd di New York, che proponeva le evanescenti vedute architettoniche veneziane di un fotografo italiano che sa trasportare nei territori del sogno: Michele Alassio. Interessante anche la mostra “Artificial Japan” in cui erano esposte dallo svizzero MUSEC – Museo delle Culture di Lugano, fotografie della Scuola di Yokohama, scattate tra il 1860 ed il 1910.  

Per i Progetti Speciali spiccava una retrospettiva dedicata al noto e raffinato Giovanni Gastel (Milano 1955-2021), che dopo gli iniziali esordi di poeta ed attore (zio materno Luchino Visconti) si è dedicato alla moda ed al ritratto, conducendo anche una vitale attività di aggregazione sociale e diffusione culturale in campo professionale.   A quella retrospettiva si affiancava un ampio studio per il ritratto in loco allestito dall’intraprendente Settimio Benedusi.

Da segnalare infine la coraggiosa iniziativa della sovvenzionatrice BNL Gruppo BNP Paribas, che in uno spazio circoscritto, sorvegliato e riservato ad una cerchia ristretta di invitati, oltre ad esporre stampe di pregio, ha offerto un delizioso rinfresco attraverso delle piccole porzioni di cibo francese racchiuso in contenitori di vetro sigillati (onde prevenire diffusioni e depositi virali).

Non soffermandoci sui sei premi assegnati ad altrettanti artisti, ricordiamo invece i vari spazi dedicati all’architettura d’interni, all’arredo con mobili di lusso e di antiquariato, che nella Sezione MIDA – Milan Image Design Art, costituivano anch’essi una vista piacevole e rallegrante.    

La sensazione finale, in uscita dalla fiera, era quella di un potenziamento e di un’ipertrofia del desiderio, grazie alla visione di così tante buone fotografie. Ogni bella fotografia ha a che vedere col desiderio, è essa stessa la formulazione di un desiderio, che appare e si cattura, fulmineamente o ponderatamente, come un’apparizione sovrannaturale.  

fotografie di Edoardo Pilutti      edoardo.pilutti@gmail.com

Fotografia

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