10° AFFORDABLE ART FAIR Milano, 2020
10° AFFORDABLE ART FAIR, Milano 2020 di Edoardo Pilutti
Una lunga fila per due in stile anglosassone, che potrebbe ricordare i tempi di guerra narrati da madri e nonni, tempi in cui si faceva la fila per acquistare (con la tessera) alimenti di prima necessità; o file analoghe nell’Europa dell’Est, prima della caduta del Muro di Berlino. Davanti all’ingresso di Superstudio Più, zona Porta Genova, la sera di giovedì 6 febbraio si snodava una coda di giovani e meno giovani in attesa di poter essere ammessi al convivio dell’arte. Una fiera con esposizione di quadri e sculture dai prezzi accessibili, non superiori ai 7.500,00 euro, a cui partecipano 85 gallerie, prevalentemente italiane ma anche 36 dall’Europa ( Spagna, Francia, Inghilterra, Svizzera, Portogallo, Liechtenstein) e dall’Asia (Mumbay, India; Iran; Giappone).
Sperimenta l’inatteso è il motto pubblicitario e la pretesa di questo tipo di fiera d’arte fondata a Londra, e che a Milano è giunta alla sua decima edizione. In dieci anni si sono avvicendate ad Affordable Art Fair, nella sede di Superstudio Più in via Tortona, 423 gallerie internazionali, con un’affluenza di oltre 120.000 visitatori, per un giro d’affari di 12.000.000,00 di euro di opere vendute. Circa 1.200 opere ogni anno, durante i quattro giorni della manifestazione, hanno trovato nuova collocazione nelle case dei lombardi che le hanno acquistate.
Ma al di là dell’aspetto mercantile, che cosa cerca nell’arte la gente? Forse quel qualcosa in più, l’idea, cioè qualcosa di metafisica che si incarna nella materia, nel corpo dell’opera d’arte. In effetti solo uno su cento acquista: tutti gli altri vanno a vedere, si limitano alla ricerca.
E da visionare e osservare c’era molto all’inaugurazione, con una sovrastimolazione anche del senso acustico, grazie non solo al brusio presente in ogni grande mercato espositivo, ma anche per un continuo sottofondo di ricercata musica da discoteca, suonata dal vivo dal gruppo Le Cannibale, costituitosi nel 2011. Anche il senso del gusto veniva pacificato da bevande ghiacciate e leggermente alcoliche a base di succhi di frutta esotica o verdure, gentilmente offerti dall’organizzazione.
Tornando alla vista ed alla visita, la prevalenza sembra essere guadagnata da una figurazione neo pop grottesca, con accentuazioni talvolta satiriche talaltra ieratiche. Su questa linea si collocano la galleria Lattuada di Milano che presenta la giovane pittrice Sabrina Ravanelli, la Antigallery di Venezia-Mestre col toscano Stefano Cecchi dalla tessitura onirica, la neonata Bianchi Zardin di Milano (derivata dalla trasformazione e fusione di Carte Scoperte con l’attività di Gaia Bianchi) con le palme di Emilia Faro, galleria che pure presenta artisti più astratti come Arjan Shehay, oltre alla Casati Arte Contemporanea, alla Editions Bucciali, alla Enrico Art Suite, alla Galleria Legart, alla Galleria d’Arte L’incontro, con il fiabesco Vanni Cuoghi, alla svizzera Kromya Art Gallery con maestri come Gian Marco Montesano ed emergenti come Sergio Cavallerin , e molte altre.
La Sist Art Gallery di Venezia pure si colloca ai margini di questo filone, poiché rappresenta anche la pittura estremamente colta di Tobia Ravà, formatosi al DAMS di Bologna con Flavio Caroli ed Umberto Eco. Vasto è l’universo iconico di Ravà che spazia da paesaggi architettonici con edifici antichi ( Venezia, il Colosseo, Padova) dando ad essi titoli altamente simbolici ( Varco celeste, Sequenza colossale, Speculazioni celesti, Diagonale alchemica, ecc.), a paesaggi naturali campestri ( un titolo per tutti: Foresta della memoria dell’acqua) a ritratti, a composizioni completamente simboliche: anche le tecniche dei dipinti sono originali, dalle resine ed acrilici su tela, alla catalizzazione UV su alluminio, fino alle sublimazioni su raso acrilico. Per le sculture Ravà si serve dei più tradizionali marmo rosso di Verona e bronzo patinato da fusione a cera persa, come del più moderno vetroresina. Ma ciò che contraddistingue inconfondibilmente tutte le sue opere è l’intarsio pittorico, quasi divisionista, di lettere ebraiche e numeri secondo i princìpi della “ghematrìa” (corrispondenza fra lettera e numero delle parole ebraiche). Sostiene Ravà che “…le parole hanno un loro valore oggettivo ed eterno..” e disegnandole pittoricamente sulla tela, assieme ai loro valori numerici, egli costruisce chiare immagini spirituali struggentemente poetiche.
Foto e testo di Edoardo Pilutti edoardo.pilutti@gmail.com
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