Helga Vockenhuber

Belonging

Abbazia di San Giorgio Maggiore Venezia

di Edoardo Pilutti

In un’intervista fattagli dal critico Luca Beatrice (Il Giornale, 9. 5. 2014), lo storico dell’arte e saggista francese Jean Clair affermava che nell’arte visiva contemporanea si è eclissato il senso della sacralità dell’essere nel mondo; perciò, avendo perso ogni progettualità relativa alla coniugazione fra spiritualità, estetica, etica e politica, l’arte di oggi si riduce prevalentemente alla produzione di feticci che non valgono alcunché.

Proprio con l’intenzione di recuperare nell’arte il senso del sacro, è stata inaugurata in concomitanza con la Biennale Architettura di Venezia, presso l’Abbazia di San Giorgio Maggiore, la mostra Belonging dell’artista austriaca Helga Vockenhuber, da sempre attenta alle istanze religiose dell’uomo, istanze conseguenti alla perenne ricerca sul mistero dell’essere.

L’esposizione, a cura di Don Umberto Bordoni, fa parte del programma culturale della Benedicti Claustra Onlus, ramo non-profit della Comunità Benedettina che, in continuità con il passato, promuove e sostiene direttamente attività e progetti per lo sviluppo della ricerca artistica contemporanea, per la crescita di un profondo umanesimo.

Fin dalla scuola elementare di un tempo, i vecchi maestri insegnavano che il motto di San Benedetto era “Ora et Labora”; originariamente per lavoro si intendeva qualcosa di necessario, di concretamente utile, come la coltivazione degli orti, l’allevamento di animali, il procurarsi l’acqua, la trascrizione manuale e calligrafica di testi latini e greci antichi. I monaci benedettini veneziani hanno esteso il concetto di lavoro anche a quello artistico.  

Dal 2013 all’interno della basilica palladiana sono state ospitate diverse iniziative culturali, collaborando soprattutto con artisti contemporanei, per trasmettere l’amore per la creatività artistica come bene indiscutibile per la persona e prezioso valore sociale.

La presenza di opere d’arte contemporanea all’interno di uno spazio architettonico sacro ha risvegliato la sensibilità dei fedeli e dei visitatori e acceso un dibattito, ancora in essere, sul fine ultimo delle architetture monumentali: queste fino al 2013 venivano utilizzate esclusivamente per la liturgia cristiana.

Ora è stato messo in atto un confronto tra la solennità del classicismo e l’imprevedibilità del contemporaneo, confronto che ha aperto nuovi orizzonti.

Fulcro della mostra intitolata Belonging (Appartenenza) è l’installazione di sette grandi sculture in bronzo di Helga Vockenhuber che insieme compongono un’imponente corona di spine frammentata. Posizionati zenitalmente sotto la grande cupola palladiana, in una penombra che induce uno stupito raccoglimento, i bronzi, contorti ed acuminati, progettati specificamente per tale luogo, accolgono e respingono, generando inizialmente uno spaesamento che induce alla riflessione.

La prima impressione che se ne ha, non sapendo nulla del progetto né dell’artista, è quella dell’affiorare di qualcosa di mostruosamente arcaico da un’enorme vasca di bitume: il pozzo dell’Inconscio dal quale emerge qualcosa di simile a dei tirannosauri preistorici o piuttosto a dei crudeli e orripilanti esseri alieni.

Le sculture di Helga, riflettendosi nello scuro specchio d’acqua sul quale poggiano come sospesi sopra un misterioso abisso, condensano un carico perturbante di sofferenza che si riferisce alle Reliquiae Passionis e alla Historia Christi, ma, allo stesso tempo, sono una simbolica messa in scena della tragedia umana nel suo complesso.

Vi potrebbe essere un riferimento alle vittime delle guerre, ai perseguitati e rifugiati politici, ai profughi e migranti anche per calamità naturali e climatiche, come la sommersione delle isole o la desertificazione per siccità.

Tutte tragedie umane ricordate e stigmatizzate costantemente da Papa Francesco.

In Belonging, Helga Vockenhuber, dopo trent’anni di scultura imperniata sulla figura umana, concentra il suo lavoro attorno al significante cristiano della corona di spine, un’icona della sofferenza e dell’estremo sacrificio patiti al fine di redimere l’umanità intera. Ma anche un significante che potrebbe rappresentare un’interrogazione sugli intrecci, le torsioni, le rotture, i riavvicinamenti che costituiscono il dramma dei legami sociali, ed il dramma del legame primigenio fra uomo e natura, una natura oggi violata.

Un’altra evocativa installazione è stata collocata nella Sacrestia Monumentale: tanti tronchi d’albero ridotti a ceppi, sparsi sul pavimento; e subito vi è un’altra sensazione di straniamento, vengono in mente i ceppi con la mannaia per i condannati a morte del passato. Ma fra i ceppi si erge una colonnetta marmorea, una sorta di fonte battesimale salvifica.

Ad accompagnare la seconda grande installazione, vi è una serie di immagini fotografiche prodotte da Ägidius Vockenhuber, architetto e fotografo, figlio della scultrice.

Nelle sue fotografie Ägidius Vockenhuber attraversa alcuni archetipi del misticismo: luce e ombra, acqua e alberi. Il suo itinerario individuale, percorso nei tempi del confinamento pandemico e alimentato dall’isolamento a cui ciascun individuo era costretto, coniuga fotografia e architettura di paesaggio, declina interrogativi sulle radici della persona, immergendosi nella ricerca del senso della vita, e sfocia in uno spazio di condivisione umanistica.  

In un’epoca di superficiali e frettolose ma pervasive comunicazioni telematiche, il progetto ha l’intento di condurre ad una rigenerazione psichica quanto più condivisibile con gli altri, col prossimo.

Con questi interventi i due artisti intendono suscitare una riflessione aperta sul senso di appartenenza ad una comunità ad un gruppo. Appartenenza che contribuisce a costituire l’identità di ogni essere umano nei legami sociali e nel legame primigenio con la natura, con la propria interiorità e spiritualità.

La visita a questa esposizione all’interno dell’abbazia di San Giorgio favorisce la ricerca di un equilibrio tra il nostro articolato mondo interno e la complicata realtà del mondo esterno.

Helga Vockenhuber (1963, Mondsee) è un’artista e scultrice austriaca. Concentra il suo lavoro sulle questioni fondamentali poste dalle religioni del mondo, e in particolare sul percorso che l’uomo fa per trovare sé stesso e ricercare la sua pace interiore. Per le sue opere in bronzo ha intrapreso una ricerca sulla sensibile spiritualità del corpo umano, combinando nelle statue caratteristiche varie appartenenti a persone di origini diverse.

Helga Vockenhuber tende a rappresentare e sottolineare il valore della dignità e della spiritualità dell’uomo, evidenziandone la caratteristica fondamentale data dalla soggettività.

Ägidius Vockenhuber (1991, Salisburgo) è un architetto austriaco che vive e lavora a Vienna, dove ha collaborato con importanti studi associati, dopo aver collaborato anche con Marg and Partner ad Amburgo.  

Il suo iniziale progetto esistenziale era quello di diventare un monaco eremita, quindi ha iniziato la sua formazione al Gymnasium Borromäum del Vescovato a Salisburgo. Ha poi conseguito la laurea in Architettura all’Università Tecnica di Vienna.

Dopo la laurea, ha frequentato vari corsi universitari di fotografia a Salzburg, Vienna e Berlino. Ha lavorato per gmp Architekten Gerkan, Marg and Partner ad Amburgo, Nana Architettura a Vienna e nell’atelier di Helga Vockenhuber a Mondsee.


fotografie di Edoardo Pilutti

e a cura di Benedicti Claustra Onlus

edoardo.pilutti@gmail.com

Helga ed Ägidius Vockenhuber

BELONGING

Abbazia di San Giorgio

Isola di S. Giorgio Maggiore, Venezia

15 maggio – 26 novembre 2023

dal martedì alla domenica

dalle 10.00 alle 18.00

http://www.abbaziasangiorgio.it

Gallery

Fotografia scultura

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