Ai Weiwei
La Commedia Umana
Memento Mori
Abbazia di San Giorgio – Venezia
di Edoardo Pilutti
Non faceva parte degli eventi collaterali autorizzati, ma si concludeva nello stesso giorno della Biennale di Venezia, e con orari identici, la personale di Ai Weiwei “La Commedia Umana – Memento Mori”, curata dallo stesso Ai Weiwei, da Adriano Berengo e Carmelo A. Grasso, allestita presso l’Abbazia di San Giorgio Maggiore nell’omonima isola di fronte a San Marco.

Ai Weiwei nasce a Pechino nel 1957 in una famiglia di intellettuali. Per capire qualcosa di più della poetica del famoso artista cinese, è importante tenere presenti alcune vicende della vita del padre, il pittore e poeta Ai Quing (1910 – 1996), poiché sembrerebbe che il figlio, il nostro Weiwei, in qualche modo ne abbia ripercorso le orme, diventando anche lui un “Uomo Contro”.
Il padre Ai Quing nasce nel 1910 nello Zhejiang da agiati proprietari terrieri; i genitori, spaventati da una profezia secondo la quale quel figlio avrebbe portato disonore alla famiglia, lo affidarono a dei contadini e lo ripresero con loro nove anni dopo. Da giovane Ai Quing si dedicò alla pittura e nel 1925 iniziò a frequentare l’Accademia d’arte di Hangzhou.

Nel 1928 si trasferì a Parigi, dove si trattenne fino al 1932 per studiare la poesia e l’arte europea del Novecento. Tornato in Cina, si unì ad un gruppo di artisti di sinistra e poco dopo venne arrestato dal governo nazionalista (che aveva anche lo scopo di restaurare la monarchia) perché ritenuto un poeta comunista rivoluzionario.
Durante il periodo di detenzione presso il carcere di Shangai si dedicò alla scrittura; molte sue poesie circolarono clandestinamente e vennero anche pubblicate, contribuendo alla sua fama. Nel 1937 venne scarcerato e iniziò ad intrattenere rapporti d’amicizia con Mao Zedong, il quale stava conducendo una campagna politica che si sarebbe trasformata in rivoluzione, per l’affermazione del Partito Comunista Cinese.
Nel 1941 si trasferì a Yan’an e si unì al PCC, contribuendo alla fondazione della Repubblica Popolare Cinese, che avvenne tra il 1946 ed il 1949. Nel 1957, criticato da alcuni dirigenti del PCC per la sua linea politica, venne inviato in un campo di rieducazione ideologica, con la moglie ed il figlio Weiwei neonato, ai margini del deserto del Gobi, fino al 1976, quando all’intera famiglia verrà permesso di tornare a Pechino. Solo negli anni Ottanta Ai Quing riprenderà un’intensa attività creativa, fino alla morte avvenuta nel 1996.
Tornando alla biografia di Ai Weiwei, a diciott’anni ritorna al seguito dei genitori nella capitale cinese, studia e si diploma all’Accademia del Cinema, per dedicarsi successivamente alla pittura, e per fondare assieme ad altri, nel 1978, il gruppo artistico Stars, col quale nel 1980 allestisce una collettiva alla China Art Gallery di Pechino, importante sede istituzionale e museale, in collaborazione con le autorità governative della capitale. Fu la prima esposizione di arte contemporanea in un museo cinese, evento che attirò numerosi visitatori.
Nel 1981, decide di lasciare la Cina per vivere a New York dove studierà a fondo l’arte concettuale di Marcel Duchamp e la Pop Art di Andy Warhol. Lì si adatterà a lavori umili mentre frequenterà due prestigiose scuole di design, la Parsons New School For Design e l’Art Students League; dovrà traslocare spesso da un’abitazione all’altra nella metropoli statunitense, dove anche si sposerà. Nel marzo del 1988 le sue opere furono esposte alla Ethan Cohen Gallery, una mostra che fu la sua prima e unica personale a New York.
Nel 1993 torna in Cina per stare accanto al padre seriamente ammalato, che morirà dopo tre anni. Ai Weiwei, forte della sua esperienza americana che lo farà considerare un importante riferimento da molti giovani, collabora alla fondazione dell’East Village di Pechino, una comunità di artisti d’avanguardia. Nel 1997 è cofondatore e direttore dell’Archivio delle arti cinesi (CAAW).
In quegli anni pubblica tre libri sull’arte: The Black Cover Book (1994), The White Cover Book (1995) e The Grey Cover Book (1997). In molte delle sue opere Ai Weiwei evidenzia come il capitalismo e il consumismo stiano penetrando anche in Cina, col risultato di inquinare la tradizione culturale e artistica della nazione.

Nel 1999 inizia ad occuparsi di architettura e fonda uno studio nella periferia nord di Pechino, a Caochangdi. Dal 2001 apre un altro studio, il FAKE Design, con il quale collabora alla progettazione dello stadio nazionale di Pechino per le Olimpiadi del 2008: il famoso “Nido di uccello”, ideato con gli architetti svizzeri Herzog & de Meuron. Insieme vincono anche il concorso per il progetto di un nuovo padiglione della Serpentine Gallery di Londra. L’artista, tuttavia, non presiederà all’inaugurazione per protesta contro lo sfruttamento degli operai nei lavori edili.

Nel 2003 Ai Weiwei sottolineerà l’omologazione causata dall’infiltrazione del sistema capitalistico nella società cinese, con le sue installazioni della serie Forever (la marca di bici più vendute in Cina): centinaia di biciclette accatastate a cui sono stati rimossi pedali e catene di trasmissione.
Ad inizio del 2005 aveva aperto un blog in cui, oltre a parlare della sua attività artistica, commentava anche le vicende politiche, criticando alcune scelte del Governo. Nel 2008 a Sichuan un fortissimo terremoto provoca circa settantamila vittime; tantissimi alunni muoiono sotto le macerie delle scuole. Ai Weiwei attribuisce al governo poca chiarezza nel conteggio delle vittime e nella ricerca delle responsabilità del disastro, e pubblica sul suo blog i nomi di cinquemila bambini morti.
Nel 2009 il suo blog viene oscurato dalle autorità e Ai Weiwei viene interrogato dalla polizia.
In precedenza, nel 2008 le autorità amministrative di Shanghai lo avevano invitato a costruire, nel quartiere di Malu Town, uno studio per rendere l’area una zona per artisti. A fine 2010 la giunta municipale di Shanghai stabilisce che quello stesso studio, non avendo ottenuto tutti i permessi necessari, debba essere chiuso e lo farà demolire nel gennaio 2011.
Sempre nel 2011, il 3 aprile, l’artista viene arrestato all’aeroporto di Pechino, con l’accusa di evasione fiscale: viene detenuto per 81 giorni, costantemente seguito da guardie silenziose onde prevenire gesti autolesionistici, come avviene in tutte le carceri, e con la possibilità di ricevere visite e parlare soltanto con la moglie. Gli furono fornite comunque tutte le cure opportune per le sue due patologie croniche: il diabete e l’ipertensione essenziale. Alla detenzione segue una multa di 2,36 milioni di dollari (pagata in buona parte dai suoi sostenitori sparsi in tutto il mondo), il ritiro del passaporto, la rimozione delle sue opere dai musei statali, e il divieto di pubblicare articoli sul web o di parlare con la stampa.

Nel 2014 crea una grande installazione: con un milione e duecentomila mattoncini LEGO realizza i ritratti di centosettantasei perseguitati politici di tutto il mondo e di tutti i tempi: da Nelson Mandela a Edward Snowden, da Galileo Galilei a Dante Alighieri. Quando l’artista chiede alla LEGO altri cubettini per proseguire l’opera, la compagnia danese nega la fornitura dichiarandosi contraria all’uso del prodotto per motivi politici. Ai Weiwei allora, ispirandosi a Duchamp, pubblica su Instagram una fotografia con i mattoncini LEGO buttati in un WC. Di conseguenza la LEGO cambia idea e gli fornisce tutto il materiale di cui ha bisogno.
Nel 2015 Ai Weiwei riceve da Amnesty International l’Ambassador Of Coscience Award, per le sue azioni a sostegno dei diritti umani e per la sua intensa attività di sensibilizzazione sulle migrazioni. Nello stesso anno all’artista viene restituito il passaporto della Repubblica Popolare Cinese. Vola quindi in Germania dove vivono sua moglie e suo figlio e poi nell’isola greca di Lesbo, per seguire in prima persona il dramma dei migranti nel Mediterraneo.

Molte delle sue opere del 2016 riprendono quest’ultimo tema, come l’installazione temporanea Reframe, creata per Palazzo Strozzi a Firenze, costituita da canotti che incorniciano i finestroni sulla facciata del rinomato edifico fiorentino.
Nel 2017 ha diretto il documentario Human Flow presentato alla 74ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. La pellicola verteva sulle problematiche dei rifugiati politici e dei migranti per la crisi climatica. In quell’occasione ha dichiarato: “L’attivismo è parte di me. Se l’arte ha qualcosa a che fare con me, allora il mio attivismo fa parte della mia arte”.

Riguardo alla recente antologica di Venezia, fulcro dell’allestimento ospitato nella Basilica di San Giorgio Maggiore è stata La Commedia Umana, un’enorme scultura incombente, composta da oltre duemila pezzi di vetro nero lavorati a mano dai maestri dello Studio Berengo di Murano. Con un diametro di oltre sei metri e un’altezza di quasi nove metri, la monumentale installazione è la più grande scultura sospesa mai realizzata in vetro di Murano.
L’opera rivela la raffigurazione plastica di un groviglio di ossa, di organi del corpo umano e di oggetti sorprendenti: granchi, pipistrelli, telecamere, e persino gli uccellini icone di Twitter, citazioni del potere tecnologico di sorveglianza e controllo sociale.
È una scultura monumentale e misteriosa che lascia stupefatti per la sua austerità, che ci spinge a fare i conti con la nostra mortalità e con il ruolo della nostra vita nell’immenso teatro della storia. “Tenta di parlare della morte per celebrare la vita”.
Il piuttosto macabro lampadario di 2700 chili era stato esposto una prima volta a Roma nel marzo 2022, alle Terme di Diocleziano, grandioso museo a due passi dalla Stazione Termini. In quella sede dialogava con un mosaico del III secolo d.C. che raffigura uno scheletro disteso su una sorta di triclinio e il motto in greco antico dell’oracolo di Delfi ripreso dal filosofo Socrate: “GNOTHI SAUTON”, “conosci te stesso”.
In quell’occasione Weiwei dichiarò: “Mio padre iniziò a parlarmi dell’antica Roma quando avevo dieci anni. Mi raccontava degli imperatori, della persecuzione dei cristiani negli anfiteatri, scrivendo e disegnando su piccoli pezzi di carta. Questa mostra è un omaggio a lui”.

Nell’abbazia di San Giorgio, all’installazione principale, posta al centro della enorme navata della basilica, si aggiungeva una selezione delle opere più significative dell’artista, esposte in varie sale, fra cui Dropping a Han Dynasty Urn (2016), una provocatoria serie di immagini in mattoncini Lego che ricreano le fotografie in bianco e nero di una performance del 1995 in cui l’artista, vestendo i panni tipici degli operari cinesi, lascia cadere dalle sue mani una preziosissima urna cineraria cinese vecchia di circa duemila anni, frantumandola a terra: un ammonimento sull’indifferenza per la distruzione della tradizione.

Erano inoltre presenti alcune delle ultime opere in mattoncini di plastica, fra cui Sleeping Venus (After Giorgione), Know Thyself , ed il rifacimento di un famoso dipinto del postimpressionista Seurat: Una domenica pomeriggio sull’isola della Grande Jatte.

Vi erano anche altre otto piccole sculture inedite, tra cui Brainless Figure in Glass (2022), un ironico autoritratto in vetro eseguito attraverso moderne tecnologie e Glass Takeout Box (2022), la riproduzione di una scatola in plastica per cibo d’asporto, un oggetto d’uso quotidiano simbolo dell’appiattente globalizzazione, posto paradossalmente presso l’altare maggiore, come pure Glass Toilet Paper (2022), che allude all’umile e comune animalità della natura umana.
Imponenti, nella sacrestia lignea e in un cortile interno all’abbazia, le installazioni scultoree Glass Root (2022), che denunciano la deforestazione in Brasile, distruzione dell’Amazzonia incrementata dal governo reazionario di Bolzonaro nel 2017.
fotografie di Edoardo Pilutti edoardo.pilutti@gmail.com
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