Il desiderio di arte, il bisogno di sognare.

DESIDERIO DI ARTE

di Edoardo Pilutti

  Venezia, come tutte le altre città d’arte nei loro centri storici, appare in questi giorni una città fantasma: pochissimi sono i passanti, affaccendati per lo più attorno a negozi di generi alimentari o, in rari casi, diretti alle loro dimore lagunari o in terraferma dopo una giornata di lavoro in qualche raro ufficio rimasto funzionante, ma non necessariamente aperto al pubblico. 

Eguale sorte hanno i musei, talvolta con qualche funzionario asserragliato al loro interno, ma rigorosamente chiusi al pubblico ed alla stampa. Sembrano custodire gelosamente le opere esposte, i dipinti, le fotografie, le statue, le installazioni contemporanee, i loro archivi e depositi di creazioni che non trovano posto nelle sale: in quelle sale che ora sono buie, deserte, dove non risuona alcun passo di visitatore né alcun commento sussurrato timidamente. 

Sembrano congelati nell’aria fosca dell’imbrunire ai primi di un gennaio straniante.  

Alcuni non sono nelle zone più centrali ma quasi defilati, come Il Museo Ebraico fondato nel 1954 in Campo del Ghetto Novo a Cannaregio: si tratta di un complesso urbanistico, architettonico e museale costituito da uno spazio espositivo, cinque sinagoghe, abitazioni costruite a partire dall’XV secolo, ed il cimitero che peraltro si trova al Lido. I pregiati oggetti esposti al pubblico, importanti esempi di manifattura orafa e tessile databili tra il XVI e il XIX secolo, sono testimonianza della viva tradizione ebraica. Il museo propone inoltre una collezione di libri e manoscritti antichi e oggetti in uso nei più importanti momenti del ciclo della vita. 

Lungo il Canal Grande, invece, si specchiano la facciata tardogotica (gotico fiorito) con colonnato e finestrelle rinascimentali della quattrocentesca Ca’ d’Oro che ospita l’articolata Galleria Giorgio Franchetti. Si specchia La facciata del Fontego dei Turchi che risale agli inizi del Duecento, attuale sede del Museo di Storia Naturale; quella in stile tardo barocco della Scola dei Battioro e Tiraoro, sede di tante esposizioni temporanee anche della Biennale, a fianco della monumentale chiesa di San Stae. 

Sfilano altri palazzi: quello settecentesco di Ca’ Corner della Regina, sede lagunare delle mostre estive e autunnali della Fondazione Prada, e quello di Ca’ Pesaro, sede della Galleria Internazionale d’Arte Moderna, che ospita collezioni otto-novecentesche di dipinti e sculture, oltre a varie esposizioni temporanee.  

Ca’ Pesaro fu costruito nella seconda metà del XVII secolo, per volontà della nobile e ricchissima famiglia Pesaro, su progetto del massimo architetto del barocco veneziano, Baldassarre Longhena, cui si devono anche la Chiesa della Salute e Ca’ Rezzonico. Quest’ultima, sede del Museo del Settecento Veneziano ma anche di varie esposizioni decentrate della Biennale, si trova sull’altra sponda del Canal Grande, di fronte a Palazzo Grassi, sede della Fondazione Pinault, dove attualmente attende di essere riaperta una straordinaria antologica del fotografo francese Henri Cartier-Bresson.  

Palazzo Grassi, costruito nel Settecento poco prima della caduta della Repubblica di Venezia, fu restaurato negli anni Novanta da Gae Aulenti, mentre l’adiacente teatro fu rimodernato internamente dall’architetto giapponese Tadao Ando.  

Proseguendo la navigazione lungo il Canal Grande, ai piedi del ponte dell’Accademia, in quello che fino dagli inizi del XII secolo era il vasto complesso formato dalla chiesa di Santa Maria della Carità, dal convento dei Canonici Lateranensi e dalla Scuola Grande di Santa Maria della Carità, si prospettano poi le Gallerie dell’Accademia (il cui ingresso sarebbe attraverso il portale dell’ex Scuola Grande di Santa Maria della Carità).

Questo museo statale gestito dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, possiede una ragguardevole collezione di arte veneziana e veneta, soprattutto ricca di dipinti eseguiti tra il XIV ed il XVIII secolo da grandi artisti come Tintoretto, Giambattista Pittoni, Tiziano, Canaletto, Giorgione, Giovanni Bellini, Vittore Carpaccio, Cima da Conegliano e Veronese. Vi si conservano anche sculture e disegni, tra i quali il celeberrimo Uomo vitruviano di Leonardo da Vinci (esposto solo in occasioni particolari).  

La costruzione di quegli edifici risale al XII e XIII secolo e ne sono testimonianza la porta tuttora presente a sinistra dell’ingresso attuale alle Gallerie, porta decorata da edicole gotiche con i santi protettori della Scuola stessa. Attenzione, pur denominandosi Scuola, si trattava di un’associazione di mutuo soccorso e di carità verso i poveri, che operava anche mediante investimenti oculati delle somme versate dai confratelli e dalla Repubblica di Venezia.                     

Nel Cinquecento fu affidato ad Andrea Palladio un progetto molto ambizioso di ristrutturazione del convento, progetto mai completato ma di cui si leggono alcuni elementi sulla facciata marmorea. 

Fino al 2004 le Gallerie avevano la sede in condivisione con l’Accademia di Belle Arti, la quale le aveva aperte nel 1817. Ora l’Accademia si trova presso la sede degli Incurabili, il cinquecentesco Ospedale sorto sulle Fondamenta delle Zattere allo Spirito Santo, per il ricovero dei malati di sifilide, patologia venerea all’epoca appunto incurabile. 

Strano destino quello dell’Accademia, istituzione scolastica parauniversitaria che vede i suoi studenti, aspiranti artisti, fotografi, scenografi, relegati in un antico ospedale per malattie veneree, luogo che nel Novecento divenne sede del Riformatorio cittadino, cioè del carcere minorile e del Tribunale per i Minori. 

Come se Venezia alludesse, tramite quella analogia urbanistica, a ciò che in tutto il mondo occidentale, sotto, sotto, si pensa dell’arte: che è una pratica per deviati, per degenerati, per trasgressori.  Non a caso l’accostarsi all’arte nel mondo occidentale viene mediato dal sistema commerciale dei galleristi in alleanza col sistema culturale dei musei e della critica. Ho assistito all’allontanarsi fulmineo di collezionisti che interrompevano un’amabile conversazione con chi non sapevano essere, fino al momento della rivelazione e della conseguente fuga, un artista. 

Come se l’artista potesse contagiare, essere veicolo di quella malattia dell’anima che lui stesso deve portare con sé per dedicarsi a qualcosa di così presuntuoso, liberatorio e al giorno d’oggi pure inconcludente.                 

Il profondo rapporto che intercorre fra creatività e follia, idea nata col Romanticismo ottocentesco, permette a ciascuno dei fruitori dell’arte di gestire quel grano di follia presente in ogni essere umano. 

Perciò vi è un irriducibile bisogno di arte in ogni essere umano, un bisogno di porsi di fronte ad (e in dialogo con) opere d’arte, anche se non facilmente decifrabili soprattutto se contemporanee. Un bisogno di rispecchiarsi nei sogni e anche negli incubi degli artisti, poiché non tutti gli esseri umani hanno il coraggio di sognare, o di ricordare i loro sogni e di interpretarli. 

Fotografie di Edoardo Pilutti            edoardo.pilutti@gmail.com 

ARTE, di Edoardo Pilutti

6 Comments Lascia un commento

  1. Impossibile non essere incantati da queste foto!! VENEZIA è uno splendore e l’artista che la ritrae sa coglierlo con sensibilità e passione.

Ciao, lascia un commento, grazie.