“CHEN ZHEN CORTOCIRCUITI”

HANGAR BICOCCA MILANO, 2020

di Edoardo Pilutti

  Ancora una volta sono stati chiusi i musei, per arginare l’espandersi della pandemia da Covid 19, e le visite reali ai templi dell’arte sono un bel ricordo.

   C’era una giovane trentenne che sommessamente interrogava le guide (innovativamente denominate mediatori culturali) presenti all’interno dell’enorme capannone all’Hangar Bicocca, quand’era ancora aperto: la giovane domandava il senso, il significato, il perché di quelle opere d’arte. Le ventiquattro monumentali installazioni di Chen Zhen, dislocate nella penombra del vasto spazio espositivo, illuminate con sapienza scenografica, non potevano non colpire e non lasciare stordito lo spettatore proprio per il loro senso latente.

   Chen Zhen, nato a Shanghai nel 1955 in una famiglia di medici, si era formato nel periodo della Rivoluzione Culturale Cinese; aveva studiato all’Accademia il disegno e la pittura tradizionali e fino ai trent’anni si era limitato a dipingere (alcuni ritratti molto realistici arricchiti da scritte ideografiche sono esposti anche in questa mostra). Ma tre anni prima delle proteste di piazza Tienanmen (che tra fine aprile e inizio giugno 1989 coinvolsero studenti, intellettuali e operai di Pechino e di altre città cinesi, con un bilancio di alcune centinaia di morti e approssimativamente trecentomila feriti) Chen Zhen si trasferisce a Parigi. Quindi dal 1986 si lascia interessare dall’arte occidentale, probabilmente studia attentamente le installazioni di Beuys e Kounellis, e lui stesso inizia a produrre installazioni, accostando oggetti della vita quotidiana cinese, come sedie, tavoli, letti, orinatoi in legno.

   Il suo intento è sempre stato quello di cercare una mediazione fra la propria cultura d’origine e quella dell’occidentale, spaziando da una visione sulla vita intima personale di ognuno a questioni riguardanti la politica internazionale. Esempi emblematici di queste due aree di ricerca sono le installazioni Round Table del 1995 e Jardin-Lavoir del 2000. La prima, esposta anche a Ginevra di fronte al Palazzo delle Nazioni Unite, consiste in un grande tavolo di legno rotondo, al centro del quale sono incisi alcuni articoli della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

Nel tavolo sono incastonate ventinove sedie di fogge molto differenti, in rappresentanza di ciascuno degli stati membri. Il tavolo rotondo in legno grezzo ricorda contemporaneamente i banchetti festivi della cultura cinese (connotato da armonico dialogo e unione familiare), ed i negoziati politici internazionali (connotati invece da dure discussioni e trattative tese al potere).La seconda è una monumentale metafora del tentativo di curarsi con le terapie tradizionali cinesi: è composta dalle strutture metalliche o lignee di undici letti che al posto della rete hanno una vasca d’acqua in cui sono immersi oggetti vari. In uno vi sono vestiti usati, in un altro pezzi di vecchi televisori, in un terzo giocattoli tradizionali, in un quarto utensili da cucina, in un quinto libri, in un sesto cassette televisive con film, in un settimo pezzi di biciclette, e così via. Attraverso un impianto idraulico a circuito chiuso, un filo d’acqua cade perennemente in ciascuna vasca piena di cose sempre sommerse: l’intento dell’artista, ormai vicino a morire, era quello di creare un giardino meditativo e purificativo; un luogo dove l’acqua in cui sono immersi gli oggetti favorirebbe un processo terapeutico attraverso l’abluzione all’interno dei letti-bacinelle. Questi ultimi sarebbero una metafora, o meglio una metonimia materializzata, del corpo umano. Tuttavia nell’acqua, col tempo, i libri si disfano, gli utensili e gli elettrodomestici, le biciclette ed i pezzi d’automobile si arrugginiscono, gli abiti ammuffiscono, tutto si deteriora irreversibilmente. Come gli organi di un corpo ammalato o vecchio. Questa è stata una delle sue ultime opere.

   Nel 2000 Chen Zhen è morto, a soli 45 anni: era affetto già dai 25 anni da una forma di anemia emolitica. Si tratta di una seria malattia autoimmune dovuta al malfunzionamento del sistema immunitario il quale produce anticorpi che combattono contro lo stesso organismo, aggredendo i globuli rossi come se fossero sostanze estranee.

   Alcuni soggetti sono asintomatici, mentre altri presentano stanchezza, respiro affannoso e pallore. La forma grave può causare ittero o disturbi addominali, anche con ingrossamento della milza.

   L’anemia emolitica autoimmune rientra in un gruppo di patologie poco comuni che possono comparire a qualunque età. Tali malattie sono più diffuse tra i soggetti di sesso femminile rispetto a quelli di sesso maschile. In circa la metà dei casi, la causa non può essere determinata.

   Chen Zhen era interessato dalla contrapposizione fra medicina tradizionale cinese e medicina occidentale, incuriosito da entrambe, tanto da sottoporsi alle cure mediche tradizionali e da ritirarsi per tre mesi tra i monaci in Tibet, a meditare. Probabilmente non aveva considerato la visione psicosomatica, cioè l’interpretazione psicoanalitica di ciò che il corpo dice attraverso i sintomi di qualsiasi patologia.

   Nel caso della sua malattia, la psicosomatica mette in luce una personalità rinunciataria soprattutto nei confronti dei propri più autentici desideri, caratterizzata dalla perdita della gioia di vivere e da arrendevolezza. Strano a dirsi per un grande artista. Ci sarebbe quindi una tendenza alla depressione non mentalizzata, rimossa nell’inconscio, ignorata, ma che si manifesta nel corpo, con debolezza, affaticabilità, pallore, con tendenza alla fuga rispetto alle dinamiche conflittuali dell’esistere.

   In effetti Chen si allontanò dalla sua patria nel 1986, quando il clima culturale nelle metropoli cinesi preludeva alle manifestazioni di protesta represse poi militarmente dal governo statale.

   Non sappiamo come siano state le dinamiche relazionali all’interno della sua famiglia di provenienza: è significativo comunque che da una famiglia di medici sia provenuto un artista, un figlio quindi che è andato in una direzione diversa da quella del suo gruppo d’origine.

Già questa scelta potrebbe essere stata presa non senza una certa angoscia. Per non parlare poi della scelta di emigrare in Europa, a Parigi, allontanandosi molto dalla famiglia e dalla sua terra, lasciando i suoi amici intellettuali a fare i conti con i carri armati governativi. Queste potrebbero essere alcune fonti della sua conflittualità interiore, generatrice di un’angoscia che il soggetto cerca di ignorare, di rimuovere nell’inconscio. Però l’angoscia dalla psiche, come per cortocircuito, si riversa sul corpo, a volte con effetti gravi.

   Sicuramente la difesa psichica della rimozione è stata molto praticata dal nostro. Difatti sua moglie, che gli è sempre stata accanto anche come sua prima assistente, sottolinea come a lui interessasse solo lavorare, non preoccupandosi tanto della malattia che pure sapeva poter essere mortale.

   Altre delle sue installazioni promanano ansia, ad esempio quella del letto matrimoniale per una pseudo agopuntura (che in realtà trafiggerebbe mortalmente i corpi, tanto sono spessi e micidiali gli aculei che da esso si ergono) ha un’aura di grave sadomasochismo; quella dello sgabuzzino costringe in una ristretta claustrofobia; quella dei letti trasformati in vasche d’acqua provoca spaesamento e distimia.

   Cortocircuiti (Short-circuits) è il titolo della retrospettiva curata da Vicente Todolì, in cui sono presenti venti installazioni, alcune gigantesche. Il titolo si riferirebbe alla contrapposizione tra differenti visioni del mondo, come tradizione e modernità, spiritualità e consumismo; contrapposizioni che però defluiscono una nell’altra, lasciando un senso di spaesamento ed esaltazione.

fotografie di Edoardo Pilutti edoardo.pilutti@gmail.com

CHEN ZHEN

Short-circuits

Pirelli Hangar Bicocca

via Chiese, 2 Milano

da giovedì a domenica, ore 10.30 – 20.30

fino al 21 febbraio 2021

ARTE, di Edoardo Pilutti

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