Canova | Thorvaldsen. La nascita della scultura moderna, Gallerie d’Italia, Milano, 2020

Canova | Thorvaldsen. La nascita della scultura moderna, Gallerie d’Italia, Milano

di Edoardo Pilutti

   Una mostra straordinaria, rimasta chiusa tre mesi, come tutti i musei,  per fermare la diffusione del contagio da Covid-19, e riaperta alle soglie dell’estate per essere poi chiusa definitivamente a fine giugno: quella delle sculture del veneziano Antonio Canova, (Possagno, Treviso, 1757 – Venezia 1822) e del danese  Bertel  Thorvaldsen  ( Copenaghen 1770 – 1844).                                   

Alcuni cenni biografici rendono l’idea delle loro carriere. Canova, appena undicenne, fu mandato a Venezia, in una bottega di scultura, dove si formò nella cultura settecentesca che traspare dalle primissime opere ( Orfeo ed Euridice, 1773; Apollo ) che sembrano già manifestare un interesse per la psicologia del personaggio. Nel Dedalo e Icaro (1779) va maturando la sua adesione alla  poetica classica, dove la ricerca di perfezione formale si coniuga con l’eleganza ritmica.                                                                                                                                                   

Volendo studiare la classicità degli antichi, ventiduenne non mancò di effettuare un viaggio a Napoli, Ercolano e Pompei ( 1779), approfondendo la ricerca di perfezione formale e di equilibrio compositivo, e l’ idealizzazione dell’immagine, accostandosi alle teorie dell’archeologo e storico dell’arte J. J.  Winckelmann, studioso tedesco e massimo teorico del Neoclassicismo che aveva operato a Roma fino a pochi anni prima.                                                                                                                       

Canova si stabilì nella Città Eterna nel 1781, dove ottenne importanti commissioni dal Papa. Tra il 1784 ed il 1792 eseguì il monumento a Clemente XIV nella chiesa dei SS. Apostoli, ed il monumento a Clemente  XIII in S. Pietro che presentano entrambi forme semplici e regolari.

Nelle sculture mitologiche eseguite a Roma tra il 1805 ed il 1815 ( Paolina Borghese in veste di Venere vincitrice, la serie di Danzatrici, Venere italica, Ebe, Le tre Grazie, Perseo, Pugilatori, Ercole e Lica, ecc ) sono sempre evidenti gli intendimenti classici e si sono persi quelli naturalistici presenti nelle sculture precedenti come Amore e Psiche  (1787 – 1793).

Ormai famoso, fu chiamato a Parigi (1802) ed ebbe numerosi incarichi ufficiali commissionati dall’imperatore Bonaparte, fra cui il ritratto di Napoleone Primo Console in cui infuse uno stile eroico e monumentale. Nel 1815 visitò a Londra i marmi del Partendone, traendone poi ispirazione: le sculture successive sono infatti impiantate alla maniera della statuaria classica (Endimione, Venere e Marte, Teseo e il centauro, Monumento Stuart in S. Pietro). Della maggior parte delle sue sculture rimangono i bozzetti conservati alla Gipsoteca di Possagno, documento di uno stile capace anche di spontaneità.

   Bertel Thorvaldsen  lavorò a Roma negli stessi anni in cui vi operava  Canova, rivaleggiando con lui e cercando di contendergli il primato nel mondo dell’arte. Lasciò una certa mole di opere in Italia (fra cui il  Trionfo di Alessandro, Cadenabbia, Mausoleo di Pio VII, 1831, Roma, S. Pietro), in Germania (ad esempio il monumento equestre a Massimiliano I, Monaco 1836-39) e in Danimarca (Giasone, 1801; Amore e Psiche, 1803; Le tre Grazie, 1819, Copenaghen, Museo Thorvaldsen ).

   La mostra sui due grandi maestri era allestita in un luogo bello, i saloni del palazzo dell’ex Banca Commerciale Italiana, che si affacciano su piazza della Scala, uno dei salotti di Milano: il palazzo è in stile eclettico con richiami neoclassici ( sulla facciata principale quattro semicolonne sorreggono un timpano su cui poggia un attico, e sulla facciata laterale sono presenti delle lesene), mentre gli interni  sono arricchiti da modanature, cariatidi e decorazioni liberty.

   Tale sito, progettato agli inizi del Novecento dall’architetto milanese Luca Beltrami, ben si addice ad accogliere statue davvero belle. Le statue di Canova e di Thorvaldsen, affiancate le une alle altre, erano difficilmente attribuibili all’uno o all’altro a prima vista, neppure da un occhio critico, a causa della comune idealizzazione dell’immagine.  A ben guardare, le opere di Canova sono caratterizzate da una morbidezza del modellato che coesiste col rigore strutturale; invece le opere di Thorvaldsen hanno un modellato freddo e disadorno, pur conservando un loro fascino ed una loro forza. Importante ricordare che Canova era solito ricoprire i corpi scolpiti con una trasparente vernice ambrata, per dar loro una maggior parvenza d’incarnato: il procedimento di tale tecnica, ed in particolare la composizione della vernice, sono andati perduti.       

   Sono marmi bianchi che riproducono prevalentemente personaggi mitologici, provenienti dalla cultura dell’antica Grecia e dell’antica Roma come le Grazie, Amore e Psiche, Venere, Ebe, l’eternamente giovane coppiera degli dei: sono l’incarnazione dei grandi temi della vita e della morte, svolti attraverso l’apologia dell’incanto della fuggevole giovinezza e della bellezza ideale, attraverso l’eterno ritorno di lusinghe e di delusioni in amore.

   Su questi temi i due maestri, con le rispettive schiere di collaboratori e seguaci, si furono confrontati e criticati a vicenda, essendosi trovati ad operare entrambi a Roma dal 1797 e per due decenni , rendendo così  l’Urbe la grandiosa capitale della scultura europea (scultura che allora era considerata l’arte suprema), e venendo entrambi riconosciuti e celebrati come “i classici moderni”.

   Tornando all’esposizione alle Gallerie d’Italia, la sensazione nell’entrare nel salone principale è stata esaltante, si veniva pervasi da un senso di ammirazione, oserei dire di venerazione per quei corpi divini, nudi o seminudi, femminili e maschili, corpi umani in cui si erano incarnate divinità politeiste sì, ma faro ed emblema dell’antica civiltà da cui proveniamo. E comunque la bellezza e la luce che quelle statue irradiavano conferivano all’intero ambiente un’atmosfera di sacralità.

   Veniva da domandarsi dove è finita oggi tutta quella bellezza, e se possa avere un senso recuperarla nell’arte contemporanea, quando invece predominano le disarmonie, gli incompiuti, gli agglomerati, le orride stravaganze o le fredde intellettualizzazioni astratte; quando invece di svuotare la loro mente nello studio di uno psicologo o di uno psicoanalista, tanti artisti la svuotano nel loro fare.

 testo e fotografie di Edoardo Pilutti        edoardo.pilutti@gmail.com         

ARTE, di Edoardo Pilutti

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