Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, ROMA. Time is Out of Joint – Robert Morris – Davide Rivalta
GALLERIA NAZIONALE D’ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA, ROMA. Time is Out of Joint – Robert Morris – Davide Rivalta di Edoardo Pilutti
Se dovessi immaginare l’ingresso al Paradiso, lo vedrei simile a come si presenta la Galleria Nazionale a Roma: immersa tra i pini marittimi ed altri alberi sempreverdi dell’ampio parco di Villa Borghese, dal quale si scende lungo una monumentale scalinata a cielo aperto, accompagnati dal tenue scroscio dell’acqua di varie fontane disseminate lungo il percorso, dopo aver dato un ultimo sguardo alla città eterna dalle terrazze del colle del Pincio, anticamente detto Colle degli Orti, in un clima dolce e mite anche a novembre, sentendosi invitati alla contemplazione.
Divenuto sede della Galleria Nazionale d’Arte Moderna nel 1915, Il Palazzo delle Belle Arti fu progettato e costruito nel 1911 dall’architetto e ingegnere romano Cesare Bazzani (1873-1939), in occasione della Esposizione Universale di Roma di quell’anno, dedicata al cinquantenario dell’Unità d’Italia.
Il Palazzo si presenta con uno stile classicheggiante: la struttura del volume ricorda l’impianto di un tempio greco, con un’alta scalinata che conduce al portico di accesso; il portico è sostenuto da quattro coppie di colonne appaiate, con decorazioni in stile floreale che rendono la costruzione dettagliata e monumentale: sulla facciata la presenza di festoni d’amore, inserti di rose, mascheroni e teste d’ariete, addolciscono la morfologia rigida dell’edificio e gli donano autorevolezza ed eleganza.
Al museo ci troviamo dunque presso un tempio dello spirito, un monumento popolato da creazioni che esprimono lo spirito, il genio, l’anima degli artisti che le hanno prodotte. E già sulle scalinate, sia quella discendente dal Pincio, sia quella che porta all’ingresso del museo, troneggiano pacifici sette leoni, sette sculture scure di regali felini selvaggi che si guardano attorno fiutando l’aria: fra di essi una sola leonessa accovacciata sulla sommità della scalinata sotto al pronao che scruta all’orizzonte l’arrivo dei maschi. Hic sunt leones, qui ci sono i leoni, era scritto sulle carte geografiche antiche per indicare terre inesplorate e selvagge e probabilmente pericolose. E queste belve mansuete in effigie enigmatica, proprio per la loro comparsa conturbante, possono essere viste come naturali abitatrici di un Paradiso Terrestre, di un passato molto remoto che viene attualizzato, ma possono essere “…anche simbolo e metafora dei territori inesplorati, delle terrae incognitae dell’arte, di tutto quello che c’è ancora da scoprire e di tutto quello che rimarrà segreto e custodito. Un luogo dove ospitare e abitare l’utopia, dove avere coraggio, energia, forza, sempre all’erta, vigili e pronti allo scatto…” (Cristiana Collu, direttrice della Galleria Nazionale).
Le statue belluine sono scolpite da Davide Rivalta (Bologna, 1974) il quale, formatosi presso l’Accademia di Belle Arti dal 1992 al 1996, riesce a rendere la verosimiglianza naturalistica nell’infinita sospensione di un istante, candidando a nuova vita le sue creature. Le sculture leonine, anche se in numero minore, facevano parte già dall’ottobre 2016 del primo assetto di Time is Out of Joint, titolo dato al nuovo allestimento delle collezioni permanenti dopo mesi di una loro attenta riconsiderazione, e sono destinate ad aggirarsi nei paraggi del museo a tempo indefinito.
Time is Out of Joint è a cura di Cristiana Collu, in collaborazione con Saretto Cincinelli e il Collegio tecnico scientifico della Galleria Nazionale e conta circa 500 opere, compresi i prestiti esterni provenienti da musei pubblici e collezioni private, e circa 170 artisti fra cui Afro, Agnetti, Arp, Balla, Bellmer, Boccioni, Boldini, Braque, Calder, Canova, Carrà, Casorati, Cezanne, Courbet, de Chirico, Degas, de Nittis, de Pisis, Duchamp, Ernst, Fattori, Festa, Fontana, Giacometti, Guidi, Guttuso, Hartung, Haiez, Klein, Klimt, Kosuth, per fermarsi solo al cappa. Ma non possiamo non menzionare anche Magritte, Modigliani, Monet, Morandi, van Gogh e Wildt.
L’esposizione, il cui titolo cita il verso tratto da “Amleto” di William Shakespeare “The time is out of joint”, evidenzia l’elasticità del concetto di tempo, un tempo non lineare, ma sincronico in maniera tale da poter accostare l’orinatoio di Duchamp a un’opera del Duemila.
Il titolo in inglese è traducibile come il tempo, o il mondo, è scardinato o sconnesso o fuori di sesto: quindi indica la necessità di ricomporre il mondo, di riaggiustare la natura, attraverso la ricerca artistica che in questo museo viene enfatizzata grazie a intrecci di sorprendenti relazioni tra le opere, dando luogo non ad un banale disordine ma alla ricerca di nuove essenze e di associazioni di idee rielaborate.
L’intento di Time is Out of Joint è quello di portare “… in campo una eterodossia, una disobbedienza, una sovversione così naturale…” da favorire “…uno dei momenti privilegiati in cui si ristabilisce il nostro equilibrio precario e si configura un incipit: (un inizio …) che mette fuori gioco qualsiasi certezza cronologica e attualizza una temporalità plastica che (…) dipende dunque dal nostro sguardo. E (…quindi) fa precipitare il tempo storico cronologico, anacronizza passato, presente e futuro, ricostruisce e fa decantare un altro tempo…. Un tempo pieno di faglie, fratture, vuoti, scarti e scatti, che suggerisce molte combinazioni come quelle che Time is Out of Joint, senza esitazioni, espone in piena luce.” (Cristiana Collu, direttore Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea).
Nel salone centrale della Galleria è allestita, fino al prossimo 1 marzo compreso, l’esposizione Monumentum 2015 — 2018 di Robert Morris ( Kansas City, Missouri, 1931), progettata con lo stesso artista statunitense poco prima della sua scomparsa avvenuta circa un anno fa, improvvisamente, a fine novembre 2018.
La sensazione di fronte, o meglio, in mezzo alle opere costituite in dodici gruppi scultorei, ciascuno dei quali composto da più figure posizionate secondo una drammatica coreografia gestuale, è quella di trovarsi spettatori partecipi di un incubo, anzi di vari incubi, in cui spiriti del male o forze malvagie combattono fra di loro moltiplicando il senso di morte che ne deriva, diventando una minaccia anche per il visitatore.
Le figure spiritiche sono state realizzate in tela di lino belga immersa in un bagno di resina epossidica trasparente, o in fibra di carbonio; erano state già esposte, separate in due insiemi, nel 2015 e nel 2017 alla Castelli Gallery di New York. In tali sculture i corpi, misteriosamente assenti, vengono suggeriti tramite l’abile modulazione dei panneggi delle vesti, in grado di sostenersi da sole in seguito all’irrigidimento delle resine.
Dal titolo MOLTINGSEXOSKELETONSSHROUDS, scritto agorafobicamente tutto attaccato per un totale di 27 lettere, si evince l’allusione confusa alla mutazione dell’esoscheletro di certi insetti, alla sessualità, al sudario che un tempo avvolgeva il corpo dei defunti. Il riferimento alla morte ha spesso impegnato Morris il quale ha più volte condotto la sua ricerca sul male nel mondo e sul passaggio dalla vita alla morte, ed ora con la sua ultima opera qui esposta, Dark Passage, prodotta nel 2017, fa un chiaro riferimento all’ultimo viaggio, forse augurandosi che ci possa essere un ritorno, una reincarnazione o una metempsicosi, come suggerito dal titolo dell’altro ciclo di opere esposte, Boustrophedons, che allude all’arcaica scrittura bustrofedica che procede avanti e indietro lungo una tavoletta di terracotta, come una coppia di buoi che arano un campo.
In entrambi i gruppi emergono innovativamente espliciti riferimenti all’arte del passato: i panneggi delle statue di Donatello, gli ultimi disegni di Francisco Goya, le figure umane piangenti dello scultore gotico Claus Sluter.
Inequivocabilmente, negli ultimi anni della sua attività, il maestro statunitense già cofondatore del Minimalismo americano negli anni Sessanta, espressosi anche nell’ambito della Land Art, si è distaccato anche dall’ordinata astrazione a cui si era dedicato nei lustri più recenti, sintetizzando il suo interesse per l’allegoria dei gruppi di figure pseudoumane o fantasmatiche con l’altra sua solida pratica pregressa di performance teatrale.
Imperdibile questa mostra di Robert Morris, artista versatile che, avendo studiato alle Università del Kansas e dell’Oregon sia ingegneria che filosofia e psicologia, ha spaziato dalla danza di improvvisazione alla pittura, dalla scrittura alla scultura, dalla cinematografia all’arte ambientale e al disegno.
Le sue opere sono incluse nelle collezioni dei principali musei di tutto il mondo. Tra questi: il Museum of Modern Art di New York; The Art Institute di Chicago; la National Gallery of Art di Washington; il Centre Pompidou di Parigi; la Tate Modern di Londra
Edoardo Pilutti edoardo.pilutti@gmail.com
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea
viale delle Belle Arti, 131 Roma
orari di apertura
dal martedì alla domenica: 8.30 – 19.30
ultimo ingresso 45 minuti prima della chiusura
Tel + 39 06 322 98 221
lagallerianazionale.com
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