GIORGIO DE CHIRICO. Palazzo Reale, “Il Selvaggio Dolore di Essere Uomini” Milano, 2019
GIORGIO DE CHIRICO. Palazzo Reale, MILANO “Il Selvaggio Dolore di Essere Uomini”
di Edoardo Pilutti
“Che la realtà umana sia mancanza basterebbe a provarlo l’esistenza del desiderio come fatto umano … Perché il desiderio sia desiderio a se stesso, bisogna che sia mancanza, ma non una mancanza-oggetto, una mancanza subita … bisogna che sia la sua propria mancanza, mancanza d’essere, sollecitato nel suo più intimo essere dall’essere di cui è desiderio. Così testimonia l’esistenza di una mancanza nell’essere della realtà umana” [1]
Al di là della sintassi contorta e fumosa, che volutamente rispecchia la complessità della mente umana, il pensiero dello psicoanalista francese Lacan è chiaro e ben si addice all’opera di Giorgio de Chirico, nei cui dipinti si scorge costantemente una assenza imperante e un’atmosfera carica di mancanze che testimoniano di un intenso, sofferto, muto ma pervasivo desiderio.
Se si parte da una citazione dello stesso de Chirico, secondo il quale “Viviamo in un mondo fantasmico con il quale entriamo gradatamente in dimestichezza”, si può ipotizzare che la pittura del grande maestro sia sospinta da una posizione esistenziale governata da sensazioni irreali, da percezioni stranianti, e da pensieri perturbanti.
In effetti (dopo un primo trasferimento da Vòlos, capitale della Tessaglia, dove nacque nel 1888, ad Atene dove inizierà a frequentare il Politecnico) già orfano del padre ingegnere ferroviario, a diciott’anni lascia la Grecia col fratello Andrea ( il futuro Alberto Savinio) e con la madre tenace che accompagnerà inizialmente i due figli nella formazione e negli spostamenti, in un ripetuto errare per mezza Europa: Monaco di Baviera, Torino, Parigi, Firenze, Ferrara, Roma, ancora Parigi, New York, Milano, ancora Firenze e ancora Roma. Segno di una grande inquietudine e di una sicurezza ontologica inconsistente, testimonianza del trovarsi bene laddove non si è.
Continui sono i contenuti autobiografici nei suoi quadri, a partire dalle locomotive sbuffanti all’orizzonte che alludono al padre ingegnere ferroviario; tra gli altri rimandi autobiografici ricordiamo innanzi tutto il Centauro morente (1909) in cui la figura mitologica riversa a terra rievoca la prematura e traumatica scomparsa del padre dell’artista; e la Partenza degli Argonauti (1909) in cui i due giovani ritratti sono identificabili con i fratelli Giorgio ed Andrea che lasciano la patria ellenica.
Significativo è un altro ricordo d’infanzia di Giorgio: “ …una scaletta di legno simile a quella nelle cabine degli stabilimenti balneari (…) quei pochi gradini coperti da alghe e muffe mi turbavano sempre, immersi fino a meno di un metro sott’acqua: mi sembrava dovessero scendere (…) fino nel cuore delle tenebre oceaniche.” Da qui prende avvio la serie dei Bagni misteriosi(1934 – 1935), ripresa nel 1958 con la tela Bagni misteriosi con cigno, a cui nel 1970 si sarebbe ispirata la grande installazione scultorea posizionata nei giardini della Triennale a Milano
Rientrato in Italia nel 1915 allo scoppio della Grande Guerra per il dovere di presentarsi al distretto militare di Firenze, ed essendo stato inviato a prestare servizio nelle retrovie presso il comando militare di Ferrara, nell’aprile 1917, in piena Prima Guerra Mondiale, de Chirico venne ricoverato nell’ospedale psichiatrico militare di Villa del Seminario ( che lui stesso in seguito definirà come la villa degli enigmi), istituzione sanitaria specializzata in elettroterapia, idroterapia, termoterapia, ergoterapia per nevrosi e psicosi post traumatiche da conflitto bellico: e vi sarà trattenuto fino ad agosto 1917; in quel periodo vi era internato anche Carlo Carrà, affetto da una grave psicosi depressiva, che aveva da poco abbandonato il periodo futurista e si era immerso in un suo personale primitivismo. Allora, nell’ambito del programma di ergoterapia, de Chirico produrrà opere come Il trovatore, Ettore ed Andromaca e Le muse inquietanti, da cui tra l’altro Carrà trarrà immediata ispirazione per un suo periodo metafisico.
Frequentava quella villa anche Filippo de Pisis, fin dal tempo del liceo, per prendere ripetizioni da un sacerdote insegnante che lì trovava alloggio; Filippo, riformato dal servizio militare per cefalea e disturbi nervosi, proprio a Villa del Seminario entrò in contatto con de Chirico e Carrà, prendendone però ironicamente le distanze con alcune dichiarazioni leggermente sprezzanti, ma restando influenzato dalla loro pittura.
La pittura di Giorgio in quei mesi creò grandi capolavori , come Le muse inquietanti ( il titolo originario era Le vergini inquietanti, indice di una visione spaesata dell’altro sesso) derealizzate e depersonalizzate custodi di un forziere contenente i misteri del mondo; e come Ettore ed Andromaca, laddove il riferimento mitologico (Ettore eroe troiano e la moglie Andromaca, principessa di Tebe Ipoplacia città distrutta da Achille che ucciderà anche Ettore) si coniuga ancora con la storia personale: una moglie a cui muore il giovane marito, destinata quindi all’esilio; senza dimenticare che in greco Andromaca significa “colei che combatte gli uomini”, una possibile allusione al carattere forte della madre. Nel dipinto, Ettore e Andromaca ci appaiono come due esseri umani solo nei piedi e fino quasi a metà gamba: poi si trasformano in fragili manichini in equilibrio precario, in automi rabberciati da strane forme geometriche, appoggiati a incomprensibili strutture ingegneristiche: l’atmosfera è cupa, incombente, carica di tensione e di attesa. L’angoscia è dilagante, la catatonia dominante.
Ma c’è anche qualche studioso che giustamente sottolinea l’aspetto filosofico della ricerca dechirichiana, come la storica dell’arte Dunia Elfarouk nella rivista telematica “Scripta Moment”.
“La dimensione spirituale, quindi, che è preesistente e preordinatrice di ogni manifestazione esteriore e tangibile è (ed eccoci, di nuovo, a riaccostare de Chirico alla sensibilità leibniziana) una sorta di sogno lucido ben orchestrato a cui seguono suggestioni che noi confondiamo con percezioni di realtà, ma che altro non sono che il prolungamento fenomenico di una insondabile legge metafisica immanente. Una sorta di scrittura ideografica universale. L’unica incondizionatamente esistente, perché prescindente dalla realtà sensoriale fallibile sottoposta alle illusioni percettive dell’esperienza umana. La sola imperscrutabilmente assoluta dimensione del Vero, perchè incalcolabile dalle aritmetiche, dagli inganni dei sensi e dall’inaffidabilità extra noumenica.”
Dunia Elfarouk, in Scripta Moment, continua: “C’è anche qualcosa di profondamente eroico in De Chirico, in un senso omerico: in lui la narrazione lirica e onirica che racchiude l’ideale fantastico e metafisico non si perde e non decade, ma diventa riflessione esistenziale in grado di trasformarsi in vera e propria sapienza poetica profetica. Si pensi, ad esempio, ai suoi Orfeo, Minerva, Ettore e Andromaca e a tutti gli altri personaggi mitologici tratti dall’antichità classica e trasfigurati secondo codici provenienti da un subcosciente mistero che non è né propriamente mistico né propriamente surrealista. Compongono, essi, un grande poema in versi liberi guidati da una tensione visionaria soprannaturale.”
La mostra è suddivisa in otto sale e presenta quasi un’ottantina di capolavori, ricostruendo il percorso stilistico del pictor optimus fino alla sua morte (avvenuta a Roma nel 1978 a novant’anni compiuti), attraverso accostamenti inediti voluti dal curatore Luca Massimo Barbero ( che ha magnanimamente concesso una posa fotografica di fronte ad un ironico autoritratto del maestro in costume seicentesco ). Pur concordando con i critici del passato nel riconoscere la straordinaria invenzione della corrente metafisica, Barbero evidenzia che: “ La mostra attuale (…) si spinge verso una nuova lettura che apre il campo anche alla sontuosità pittorica degli anni Venti e Trenta, all’ironia neobarocca e infine alla straordinaria operazione concettuale delle repliche dei dipinti degli anni ferraresi, in un meccanismo di rivisitazione della metafisica.” E ancora: “De Chirico fu in realtà dirompente quanto le avanguardie, ma lo fece restando fedele a una linea figurativa che stentò sempre a essere riconosciuta come rivoluzionaria e davvero sovversiva. De Chirico è un antesignano e un anticipatore (…)”. Nel catalogo Marsilio Electa, Luca Massimo Barbero accompagna il lettore nell’osservare con nuovi strumenti la pittura di de Chirico, sottolineando la vitalità della sua arte il cui immaginario conserva una vigorosa attualità.
I testi accuratamente analitici di Barbero, suddivisi in ben otto capitoli, sono affiancati da saggi specifici di Cristina Beltrami, Giovanni Casini, Andrea Cortellessa e della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico.
de Chirico
Palazzo Reale, Milano
fino al 19 gennaio 2020
lunedì 14.30 – 19.30 giovedì e sabato 9.30 – 22.30
martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30 – 19.30
www.dechiricomilano.it tel. 02 92897740
[1] J. Lacan Il Seminario, Libro X. L’angoscia 1962-1963