LA BIENNALE DI VENEZIA “I Giardini” Ventisei Padiglioni Nazionali, il Padiglione Centrale, il Padiglione Venezia, 2019

LA BIENNALE DI VENEZIA: I GIARDINI

VENTISEI PADIGLIONI NAZIONALI, IL PADIGLIONE CENTRALE,

IL PADIGLIONE VENEZIA

di Edoardo Pilutti

Poche persone isolate avanzano con le scarpe in mano (come da indicazione avuta dall’assistente di sala), all’interno di un angusto corridoio poco illuminato, camminando sopra un sottile telo di plastica che ricopre un lungo bacino d’acqua profonda dieci centimetri. I piedi scalzi affondano nel liquido restando asciutti. La sensazione è comunque sgradevole, di precarietà e instabilità, di pericolo. All’interno del Padiglione Venezia, al centro della seconda e più piccola area dei  Giardini ( oltre l’omonimo rio), una coppia di due artisti denominatisi Plastique Fantastique, già la scorsa primavera, aveva pensato di creare un’installazione che ricordasse la sciagura autunnale e invernale dell’acqua alta, che proprio a metà novembre ha flagellato la città lagunare, marea ingigantita da  un eccezionale vento di scirocco correo nell’aver sollevato ondate furiose capaci di svellere pontili interi, abbattere muretti rinascimentali e colonnine settecentesche, anche a pochi passi dall’ingresso alla Biennale Giardini, adiacente a  Sant’Elena.

Sempre all’interno del Padiglione Venezia è ospitato un prezioso video del regista Ferzan Ozpetek, intitolato VENETIKA,che   rappresenta l’affondare della città implorante attraverso gli occhi sbalorditi, penetranti e rassegnati di una ragazza il cui volto viene lentamente sommerso dall’acqua.

Il titolo della 58° Biennale, May You Live in Interesting Times, suona come una sorta di maledizione (aspetto già preso in considerazione dal curatore che ne aveva evidenziata la controversa e oscura origine politica-diplomatica anglo-cinese, ben adattabile alla nostra epoca in cui false notizie e mistificazioni vengono ampliate dai mezzi di comunicazione di massa, internet e reti sociali compresi) in questi tempi di crisi climatica con sconvolgimenti meteorologici  che colpiscono l’Italia ed il globo terracqueo intero; comunque l’arte contemporanea resta una fonte importante di suggestioni e suggerimenti per la soluzione cognitiva e scientifica dei problemi “… trasformando la maledizione in una sfida da affrontare con entusiasmo… modificando la propria e altrui visione del mondo, anche se temporaneamente, e la posizione che si occupa al suo interno” (Ralph Rugoff).

E gli artisti sfidano sempre le consuetudini del pensiero, adottano svariate prospettive cercando di scoprire nuovi significati del mondo, suggerendo impensati collegamenti fra elementi dell’esistenza ritenuti comunemente disparati.

Proprio nel Padiglione Centrale vi sono opere eseguite con tecniche differenti dai medesimi 79 artisti invitati, i quali avevano predisposto altre e appunto differenti opere esposte alle Corderie dell’Arsenale, secondo il progetto del “formato scisso dell’esposizione d’arte” messo a punto dal curatore. Quello che è uno stato mentale schizofreniforme, l’essere scisso, alla Biennale diventa un punto di forza; e forse non può essere altrimenti che così, visto i risultati della presunta normalità a livello mondiale. 

Comunque del Padiglione Centrale restano indimenticabili solo due opere. La prima è la nuvola di vapore, simile a nebbia fitta, che ne avvolgeva la facciata in concomitanza a una serie di tavole rotonde sull’arte, tenute all’Arsenale ma inspiegabilmente a porte chiuse, però registrate e rese disponibili sul sito labiennale.org. Una cortina fumogena per rendere più appassionante la comprensione dell’arte?  

La seconda opera indimenticabile, proprio per il fastidioso accecamento che comportava, é un lungo corridoio con pareti, pavimento e soffitto lucidi che intensificavano l’illuminazione già elevatissima.          

Ventisei padiglioni nazionali presenti ai Giardini (su un totale di novanta presenze nazionali distribuite anche all’Arsenale e in vari palazzi in tutta Venezia) presentano un’ampia varietà di interventi artistici che solo grazie ad un’apertura straordinaria, nell’ultimo lunedì dell’ultima settimana di visibilità, è stato possibile rivedere e studiare: il ricordo va ai piovosi giorni dell’inaugurazione a maggio, quando i Giardini vennero presi d’assalto da una sterminata folla d’invitati e giornalisti da tutto il mondo, quando lunghe file rendevano impossibile entrare in tempi ragionevoli in alcuni dei padiglioni nazionali: Svizzera, Francia, Gran Bretagna, Canada, Israele.

La Svizzera ci accoglie con due gigantesche agavi in vasi enormi, significando anche la capacità di autodifesa della natura attraverso delle spine acuminate, e quindi la possibilità di ferire l’uomo per difendersene; e ci propone poi un video su grande schermo incentrato sulla gioia del ballare visibile da lunghe panche stile oratorio anni Sessanta.

La Francia, facendo entrare il pubblico da un’uscita secondaria semi interrata e facendolo passare attraverso le umide e buie fondamenta della palazzina, presenta una sala disseminata di reperti di plastica e rifiuti, oltre ad un video in cui le scene scorrono velocissime e stimolanti, video visibile stando seduti su troni arrangiati da naufraghi immaginari.

La Spagna colpisce con un video in cui una ragazza esce in cortile per urinare stando in piedi sotto ad una pioggia scrosciante, riferendosi in qualche modo alle modificazioni dell’identità di genere, tema affrontato con un lungo video proiettato su più schermi anche nel padiglione del Brasile e con una serie di fotografie in quello dell’Austria, in cui viene documentata la successione struggente di un’azione di travestitismo.

Israele presenta una stravagante installazione performativa in cui il pubblico viene completamente coinvolto: il padiglione è trasformato in una specie di ospedale da campo per la salute mentale, ovvero in un grande ambulatorio psico-medico-pedagogico, con una sala d’attesa gremita di visitatori, il distributore dei numeri per l’ordine d’accesso al reparto specialistico alpiano superiore, degli infermieri all’accoglienza che lasciano scegliere la visione di un video fra quattro temi riguardanti: la violenza in famiglia; la violenza sui bambini; la violenza sulle donne; la violenza sui palestinesi. Dopo essere stati invitati da una delle tante giovani infermiere ad entrare in un camerino insonorizzato dove poter gridare a squarciagola seguendo le indicazioni di una voce registrata, si viene condotti nella sala superiore, detta dell’Ospedale da Campo, dove (comodamente semidistesi su una poltrona da dentista con uno schermo al posto del mini lavandino ed una pulsantiera) si assiste al video trattante il tema prescelto, che viene poi commentato (sempre in video) da una psicoanalista lacaniana e da un filosofo (almeno così vengono presentati). Alla fine si può lasciare una propria valutazione scritta sulle cure che si sono ricevute: sfogo libero, visione del video e gentile premura delle infermiere. Se ne esce un po’ straniti.

Così si è appena conclusa la Biennale Arte 2019, ritenuta dalla stampa anche estera la più prestigiosa esposizione d’arte al mondo (che in effetti ha potuto contare circa 600.000 visitatori), con una serie di inedite performance eseguite tra il 23 ed il 24 novembre da giovani artisti che già si sono fatti notare per i temi da loro affrontati e riguardanti l’ecologia planetaria, la bio-politica, la sociologia delle migrazioni, la parapsicologia, le filosofie orientali: Vivian Caccuri, Bo Zheng, Cooking Sections, Vivien Sansour, Invernomuto, Solange Knowles, Paul Maheke, Nkisi e Ariel Efraim Ashbel hanno proposto nuove e complesse letture del passato, del presente e ipotesi per il futuro, con il coordinamento di Aaron Cezar ed il supporto di Arts Council England e Delfina Foundation, disseminando dubbi sulle convenzioni sociali e offrendo suggestioni sui parametri estetici.

Edoardo Pilutti                                     

edoardo.pilutti@gmail.com

ARTE, di Edoardo Pilutti

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