59° Biennale d’Arte di Venezia – Giardini/2

Il latte dei sogni

di Edoardo Pilutti

Nel visitare le mostre d’arte della Biennale si ha la sensazione di essere al centro del mondo, per lo meno del mondo dell’arte: vi sono inesauribili distese di opere eseguite da artisti di tutte le parti del mondo, disposte in allestimenti supervisionati da curatori internazionali. A proposito, avete mai considerato che il termine “curatore”, che designa lo storico e critico d’arte che si prende cura della costruzione e della presentazione di una mostra, è il medesimo che sta ad indicare i curatori di certe popolazioni indigene dell’America Latina o dell’Asia, sinonimo di guaritori?

La cura sta al centro del discorso, che sia cura di creazioni artistiche (anche se in questo caso si usa pure il termine “curatela”) o che sia cura di persone ammalate. Vi è un’altra analogia sorprendente, ed è nel termine “padiglione”, che sta a significare nel caso della Biennale l’edificio in cui sono organizzate e visibili le esposizioni; ma “padiglione” è anche il sostantivo significante il reparto ospedaliero in cui sono rinchiusi e curati i pazienti affetti da una particolare patologia; e questo valeva soprattutto per gli ospedali psichiatrici, finché esistevano in Italia.

In effetti quando si è all’interno dei Giardini o dell’Arsenale si ha la sensazione di essere dei privilegiati immersi in creazioni artistiche dal vago e misterioso potere terapeutico. Ed allo stesso tempo siamo tutti seriamente intenti a visitarle.

01 esterno Padiglione Svizzera, Latifa Echakhch, The Concert

Interminabile è la rassegna dei padiglioni stranieri ai Giardini: non avendo spazio e tempo per completare la descrizione di tutti, ricordiamo ancora quello della Svizzera,  dove troviamo la straordinaria  installazione esperienziale The Concert” dell’ancor giovane Latifa Echakhch (di origine franco-marocchina, da molto residente nella Confederazione Elvetica), risultato di anni di ricerca che l’artista ha svolto in collaborazione con il percussionista e compositore Alexandre Babel e con il curatore Francesco Stocchi.

 I visitatori hanno modo di muoversi all’interno del padiglione (progettato da Bruno Giacometti nel 1951), immersi nell’atmosfera evocata da Echakhch attraverso un’orchestrazione di luci alternate che permettono appena di vedere enormi sculture carbonizzate dal fuoco; vi è quindi un rimando ai fuochi rituali che in varie culture proteggono da demoni e malattie. Le sculture a tratti vengono inghiottite dall’oscurità pressoché totale, assieme ai visitatori che si muovono con circospezione, per addolcire un eventuale contatto incidentale, come se facessero parte di una coreografia premeditata e allo stesso tempo estemporanea.

Ammutoliti e accompagnati dal rumore di risacca della ghiaia sotto i loro piedi (ghiaia dello stesso tipo di quella dei vialetti dei Giardini, e che verrà poi riversata in essi), pervasi da una suadente angoscia promanante dalle figure (costruite con legno riciclato dalle mostre precedenti) quasi sacrali ma minacciose, i visitatori avvertono un senso di vuoto spaesante. Come se mancasse o fosse impedito qualcosa, come se per un improvvido decreto-legge fosse terminata la musica di un concerto, The Concert.

04 Ovartaci, Il padiglione principale dell’ospedale psichiatrico di Risskov

Ma anche nel Padiglione Centrale troviamo delle opere ragguardevoli: soffermiamoci su alcuni esempi di pittura contemporanea degni di nota.

Un’intera sala è dedicata al danese Ovartaci, esponente dell’arte irregolare ( in inglese Outsider Art). Fra dipinti e statue in legno, colpisce un lavoro a colori su cartoncino, intitolato Main building of the former psychiatric hospital in Riskov, senza data. Si tratta di una stampa derivante da un precedente disegno a pastelli e acquerelli, dal sapore decisamente surrealista ed onirico, in cui un demone femminile domina l’ambiente dei padiglioni ospedalieri, ambiente infestato da altri fantasmi, in cui solo i medici passeggiano tranquillamente, mentre il pittore si rappresenta sospeso nel cielo, salvato dalla sua arte.

Ovartaci è il principale degli pseudonimi scelti nel tempo da Louis Marcussen, nato in Danimarca nel 1894 in una delle famiglie più ricche dello Jutland. Da bambino si appassiona alla pittura, da adolescente pratica yoga, studia buddismo, musica e letteratura. A soli 19 anni impone ai genitori la sua volontà di partire per l’Argentina. Dal nuovo continente tornerà in Danimarca nel 1929, a 35 anni, su una nave mercantile che trasporta carbone. La famiglia, spaventata dalle sue allucinazioni in cui lui si vede circondato da strane figure, lo fa subito internare in un ospedale psichiatrico, dove gli viene diagnosticata una forma di schizofrenia paranoide.  Resterà ricoverato per i successivi 56 anni, fino alla morte nel 1985, trasformando fino alla morte allucinazioni e deliri in disegni, dipinti, statue.

05 Ovartaci, sculture

Nel 1930 aveva iniziato ad affrescare le pareti della stanza in cui era recluso con figure femminili alte e snelle;  aveva realizzato anche alcune bambole su cui indirizzava le pulsioni sessuali. Venne perciò trasferito in un manicomio più grande, a Risskov. Sentendosi travolto dal desiderio erotico, chiese la castrazione chimica ai medici che lo accontentarono. Col passare degli anni l’attrazione verso il corpo femminile ricompare. Chiede allora ai medici di amputargli il pene, convinto che sia la radice di tutti i suoi mali.

Al rifiuto del personale sanitario, nel 1954 si evira con un martello e uno scalpello nel laboratorio della falegnameria dell’ospedale.

L’ammirazione per il genere femminile assume quindi una connotazione spirituale. E diviene così prepotente da indurlo a cambiare sesso, con un primo intervento chirurgico effettuato dal dottor Barefoot nel 1955, e con un secondo nel 1957. L’artista, che non ha mai smesso di dipingere, ha 63 anni; da allora si vestirà da donna, si farà crescere i capelli fino alle spalle, e pretenderà di essere trasferita nel reparto femminile. Fino al 1972, quando dopo 15 anni tornerà a voler essere un uomo, o almeno a vestirsi da uomo.

Con grande soddisfazione, nel 1979 vedrà le sue opere esposte nelle sale del museo Louisiana di Humlebæk, vicino Copenhagen in occasione di una collettiva dedicata agli artisti irregolari.  Louis Marcussen morirà nel 1985 a 91 anni nel suo letto all’ospedale psichiatrico di Risskov, circondato dai suoi quadri in cui restano immortalati i fantasmi che lo hanno accompagnato per tutta la vita.

06 Cecilia Vicuna, Leone d’Ore alla carriera, La mangiatrice di persone

Interessante anche se tendenzialmente raccapricciante (come talvolta lo sono i sogni), la pittura di Cecilia Vicuña (1948, Santiago del Cile, vive e lavora tra New York e Santiago del Cile), anche poetessa e intellettuale oppositrice del passato regime militare fascista in Cile, negli anni Settanta. Nei suoi dipinti dai toni fantastici ella si ispira alle pitture del XVI secolo realizzate dagli artisti inca di Cuzco, in Perù.

Ella stessa spiega così il suo quadro La Comegente (1971): “Ho sognato di dover divorare dei malvagi, digerirli e defecarli affinché i miei escrementi concimassero la terra e potesse nascere una nuova civiltà”. Espressione di una metodologia decoloniale del ritratto, i dipinti di Vicuña  ( che proprio quest’anno ha ricevuto il Leone d’Oro alla carriera dalla Biennale) si ribellano alla forma, mettendo al centro l’immaginazione di una donna rispettosa delle radici culturali indigene, pur avendo anche bisnonni provenienti dal Nord Italia .

09 Paula Rego, La fata Turchina che sussurra a Pinocchio

La portoghese naturalizzata britannica Paula Rego  (Lisbona 1935 – Londra 2022)  espone dei pastelli su carta incollata su alluminio con raffigurazioni icastiche e curiose, frutto di una evoluzione pittorica partita dall’astratto e approdata alla rappresentazione. Nel lavoro La fata turchina che sussurra a Pinocchio del 1996, la relazione tra il bambino esibentesi in tutta la sua nudità e la fantastica donna appare piuttosto maliziosa, rendendo un tributo alle teorie psicoanalitiche di Sigmund Freud e Melanie Klein sulla sessualità dell’infanzia.

Nelle sue opere mature Paula Rego intreccia letteratura favolistica e romanzesca all’irriverente, mordace satira di Francisco Goya e di Honoré Daumier, con forti elementi autobiografici: ne risultano narrazioni misteriosamente complesse, in cui figure umane, animali o ibride, portano in scena rappresentazioni sognanti di teatrale perversione.

Ad esempio in quadri come Snow White and her stepmother (1996), l’intimità tra supplente materna, la matrigna, e la giovane Biancaneve, risulta ossessionante, umiliante e sottilmente violenta.

10 Il latte dei sogni, Sidsel Meineche Hansen, Maintenancer

Numerosi i video, tra cui turba non poco Maintenancer, del tedesco Sidsel Meineche Hansen, realizzato nel 2018 con la regista Therese Henningsen, che si focalizza sulla manutenzione delle bambole sessuali in una casa di piacere tedesca, ponendo lo spettatore di fronte sia ai corpi di donne ideali creati per il consumo, senza risparmiare alcun dettaglio anatomico, sia al lavoro di conservazione necessario per preservare il loro aspetto illusionisticamente eccitante. Secondo Hansen, arte, sesso e prodotto commerciale sono profondamente collegati tra loro.

I dipinti di Christina Quarles (1985, Chicago; vive e lavora a Los Angeles) raffigurano una sovrabbondanza di gesti attraverso pigmentazioni dissonanti costituite da colature, sbavature e abrasioni raccolte entro linee iperboliche. I corpi sinuosi si contorcono evocando un senso di intimità e fluidità, un senso di precarietà dell’esistenza che porta all’impossibilità di incarnarsi in una individualità ben definita. Piani geometrici e architetture di ambienti domestici contengono forme prive di profondità, incorniciando figure allampanate, con una fisicità alternativa ed ambigua.

12 Bronwin Katz, Goegoe

Alla 59° Biennale d’Arte predominanti sono le installazioni di ogni genere. Sempre nel Padiglione Centrale, la giovanissima Bronwyn Katz (1993, Kimberley, Sud Africa; vive a Johannesburg) presenta una recentissima scultura intitolata Goegoe: un’installazione di grandi dimensioni realizzata con molle di letti e pagliette abrasive nere per pentole, acido cloridrico e ruggine. Disposta a pavimento, l’opera prende il nome da un mitologico serpente acquatico, denominato in molti modi diversi nelle leggende di numerosi popoli sudafricani. Per Bronwyn Katz il serpente diviene la metafora dello sfruttamento della civiltà occidentale ai danni della Terra e delle altre creature viventi.

Al piano rialzato non manca una delicatissima performance ideata da Alexandra Pirici (1982, Bucharest) , artista e danzatrice rumena, nota per mettere in scena interpretazioni in spazi pubblici: le sue coreografie, arricchite da scenografie pittoriche e scultoree, sono tese a rivalutare la storia e la natura.

13 Alexandra Pirici, Encyclopedia of Relations

La nuova azione performativa di Pirici, Encyclopedia of Relations, ruota attorno alla descrizione di relazioni collettive mutuate dalla biologia, dalla botanica e dalla psicologia. La rappresentazione è interattiva col pubblico chiamato a parteciparvi, e avviene tra soffuse tonalità musicali e raffigurazioni di lontani mondi desertici, oceanici, o celestiali. Gli attori combinano e ricombinano una serie di gesti aperti a progressive improvvisazioni, realizzando configurazioni sempre più ampie, fondendo il mondo naturale con quello fantastico, attraverso il corpo: anche quello dei visitatori che si lasciano seraficamente coinvolgere divenendo opera d’arte.

fotografie di Edoardo Pilutti                                          edoardo.pilutti@gmail.com

59° esposizione Internazionale d’Arte

Il latte dei sogni

Venezia, Giardini

23 aprile – 27 novembre 2022

http://www.labiennale.org

Gallery

Esposizione Pittura scultura

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