Biennale Architettura 2021

How will we live together?

Arsenale, Venezia

Parte II

di Chiara Trivelli

In questo secondo approfondimento sulla 17a Mostra Internazionale di Architettura prenderemo in considerazione tre installazioni presentate all’Arsenale nella sezione della mostra intitolata As Emerging Communities e dedicata all’elaborazione di nuove forme di vita collettiva. Questa sezione include esempi di infrastrutture come scuole, centri sociali, parchi, ospedali, mostrando approcci architettonici tesi a plasmare, insieme allo spazio, le relazioni sociali. Un’architettura a cavallo fra arte, scienza e impegno civico, in cui il confine fra progettazione e amministrazione della città sfuma.

Se uniamo il titolo di questa sezione della mostra con quello della sezione cui è stato dedicato il precedente approfondimento, avremo la seguente frase: among diverse beings as emerging communities. Cosa significa vivere insieme “come comunità emergenti”? Forse vuol dire saper intravedere nell’emarginazione sociale l’emersione di una comunità potenziale, la necessità di alternative concrete.

La prima installazione di cui parleremo è quella realizzata dal collettivo tedesco raumlaborberlin, vincitore del Leone dOro per il miglior partecipante alla Mostra con la seguente motivazione: “per un approccio progettuale collaborativo di grande ispirazione, che chiama alla partecipazione e alla responsabilità collettiva proponendo due interventi che sono modelli per una rigenerazione civica visionaria”[1].

Con l’installazione Instances of Urban Practice (2020) raumlaborberlin presenta due progetti, Floating University e Haus der Statistik, entrambi sorti su ciò che resta di luoghi simbolo della storica Berlino Est, uno all’ex aeroporto di Tempelhof e l’altro ad Alexanderplatz, entrambi espressione di un’architettura intesa, al di là dell’oggetto costruito, come pratica non neutrale, “serie di azioni volte a prendere una posizione rispetto alla società”[2], in cui è il processo condiviso che conta, non il risultato finale.

Costituitosi nel 1999 e composto da nove architetti nati a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta, tutti tedeschi tranne l’italiano Francesco Apuzzo, raumlabor si autodefinisce “essere fluido”[3], che si rifà all’ottimismo e alle grandi idee degli anni ’60 e ’70 ma li declina su piccola scala, radicandosi localmente, perché alla fase utopica succeda l’elaborazione di una tipologia di intervento per la trasformazione urbana concreto e reale, volto a riaffermare il diritto alla città e riconnettere uomo e dimensione planetaria.

L’installazione è costituita da due elementi architettonici del progetto Floating University riprodotti in scala reale: un’impalcatura e una “bubble-room”, una stanza a forma di bolla. Mentre quest’ultima è uno spazio abitabile di socializzazione, l’impalcatura è usata come display in cui è collocata documentazione grafica e fotografica relativa ai progetti Floating University da un lato e Haus der Statistik dall’altro.

La Floating University (“Università Galleggiante”, 2018) realizzata a Tempelhof è una struttura aperta, fatta di impalcature e teli di plastica, che si sviluppa su “un bacino idrico costituito da acque urbane superficiali e inquinate”[4] e in cui “le architetture create dall’uomo si intrecciano con l’habitat di una moltitudine di altri organismi”[5]. Ricorda le instant cities degli anni 60/70, città istantanee abitate da comunità nomadi e provvisorie, come quelle concepite da Archigram già nel ’68 o quella realizzata a Ibiza nel ’71 su progetto di José Miguel de Prada Poole. La differenza è che qui il progetto si radica e fa rete con realtà attive sul territorio, coinvolge, assieme a università e professionisti, abitanti e non professionisti. Nato da un piccolo team, il progetto si è sviluppato fino a proporre un format di festival transdisciplinare e a costituire un’associazione: la Floating e. V. , un’entità “pluralistica autogovernata e multidisciplinare”[6]. Ciò significa che i soggetti coinvolti stanno costruendo non soltanto un luogo ma anche le sue dinamiche, “relazioni intense, amicizie, discorsi, competenze”[7].

La Haus der Statistik ad Alexanderplatz è invece un complesso di uffici della Repubblica Democratica Tedesca della fine degli anni ’60. Non più utilizzato dal 2008, è stato trasformato in una “vetrina per nuovi protocolli di collaborazione”[8] grazie all’iniziativa di un gruppo di artisti contro la gentrificazione e l’aumento dei prezzi a Berlino. Oggi è uno spazio gestito da una cooperativa, la ZUsammenKUNFT Berlin, di cui raumlabor è socio fondatore, che – in collaborazione con l’amministrazione pubblica ed enti privati, aziende immobiliari e società di edilizia popolare – realizza “programmi di vita, arte, cultura, sociali ed educativi ”[9] a prezzi accessibili. In questo processo fondamentali sono stati i cosiddetti “utenti pionieri”[10], come ad esempio il coro, Chor der Statistik, composto da vicini di casa e abitanti della città. La vecchia pista per l’autoscontro nel cortile è stata trasformata in una pista per una scuola di ballo. Sui tetti sono stati avviati apicoltura e orti comunitari. La Haus der Statistik è stata inoltre la sede della Making Futures School, una scuola sperimentale che ha coinvolto più di 150 partecipanti e 500 visitatori.

Floating University e Haus der Statistik si distinguono come luoghi in cui imparare un altro modo di fare città: nati da una rivendicazione e iniziativa artistica per poi svilupparsi in forme complesse di autorganizzazione e cooperazione, sono esempi di un’architettura che si estende ai campi delle lotte sociali contemporanee, che sa leggere le strutture di potere, comprendere gli interessi dominanti e inserire una propria agenda al loro interno[11].

Miralles Tagliabue EMBT è uno studio di architettura riconosciuto a livello internazionale, fondato a Barcellona nel 1994 dall’associazione di Enric Miralles (Spagna, 1955-2000) e Benedetta Tagliabue (Italia, 1963)[12]. L’installazione Living Within a Market: Plateau Central Collective Housing and Market (2017-2024) mostra il processo di ideazione di un blocco abitativo situato nella banlieue parigina, concepito come “una casa che ha sotto un mercato e sopra un giardino”[13] ovvero orti urbani a uso collettivo sui tetti. L’installazione è “una sorta di collage”[14], “espone un po’ della confusione che abbiamo sopra i tavoli nel nostro studio”[15], racconta Tagliabue, in essa troviamo parti del masterplan, del “piano d’azione”[16] per Clichy-Sous-Bois, comune nell’Île-de-France dove Miralles-Tagliabue sta realizzando anche la nuova stazione della metropolitana, progetto presentato alla Biennale di Architettura nel 2018[17].

A partire dagli anni Sessanta Clichy-Sous-Bois ha conosciuto un importante sviluppo edilizio dovuto all’incremento della popolazione, che oggi supera le 30000 unità, concentrando un alto numero di immigrati provenienti soprattutto dal Maghreb. Da qui nel 2005 partì la rivolta che infiammò prima l’area metropolitana di Parigi e poi l’intera Francia, portando le problematiche delle banlieue all’attenzione internazionale.

Il progetto di Miralles-Tagliabue sembra voler proporre una soluzione architettonica contrapponendo al carattere ripetitivo, freddo e alienante dei grands ensembles delle periferie, un’architettura che “ti fa sentire a casa”, colorata, calda, umana, che dà qualità e bellezza e in cui chi vi abita può rispecchiarsi, avere la sensazione di far parte di una comunità, sviluppando così senso di appartenenza.

Poiché lo scenario attuale, per fattori demografici ed economici, è quello di unità abitative sempre più piccole, lo spazio esterno, a fronte anche della pandemia in corso, acquisisce per Tagliabue sempre più importanza: “dobbiamo far capire che lo spazio pubblico appartiene ai cittadini, appartiene a tutti e dobbiamo usarlo il più possibile”[18]. Lo spazio attorno alla casa, quello dove abbiamo la possibilità di incontrare gente, di essere all’aperto, è dunque il focus peculiare del progetto Plateau Central. Gli appartamenti dell’edificio principale, denominato CentrHalle, sono al centro di un sistema di spazi comuni, terrazze, orti, pergolati e tettoie, architetture morbide in cui senso di artigianalità, convivialità e vivacità si fondono. L’edificio è concepito come un tutt’uno col mercato alimentare al piano terra, non solo uno spazio commerciale ma comunitario, strumento per una più ampia integrazione sociale. Oltre alla già citata stazione della metropolitana “Clichy-Montfermeil” che collegherà Clichy-Sous-Bois a Parigi, il progetto prevede una passerella verde (La Duise) che conduce a un parco, un centro d’arte (Villa Medicis) e un grande affresco Chroniques de Clichy-Montfermeil dell’artista locale ma di fama internazionale JR (Jean René), che sarà realizzato in ceramica sulle pareti della stazione[19].

Fra gli interventi esterni all’Arsenale segnaliamo infine, come parte integrante della sezione As Emerging Communities, l’installazione Chileans and Mapuche, Building places to get to know each other (KüNü), Building places to parley (KOYAü-WE), realizzata da ELEMENTAL (Cile, 2001), studio di architettura noto per i suoi interventi urbani di edilizia sociale pubblica su base partecipativa, Leone d’Argento nel 2008, diretto da Alejandro Aravena (Cile, 1967), Premio Pritzker e curatore della Biennale di Architettura nel 2016.

Il progetto affronta l’annoso e sempre più violento conflitto fra Mapuche e Cileni per la questione della “terra”, concepita da una parte come Pianeta e dall’altra come possedimento, proponendo una soluzione architettonica, un luogo in cui le imprese forestali cilene e l’associazione delle comunità Mapuche possano prima conoscersi, quindi negoziare. L’idea è quella di riscoprire l’antica tradizione dei “KOYAü-WE. Con questo termine si indica il modo in cui i nativi del Cile Meridionale si incontravano e discutevano con le potenze straniere per risolvere controversie e tensioni, una sorta di “raduni”, sedute parlamentari senza parlamento[20]. Non esiste infatti un’architettura per questo genere di eventi, sono uno spazio di incontro storicamente esistito ma fisicamente non rintracciabile. La sfida di ELEMENTAL è stata allora quella di trovare un’espressione, tradurre l’intenzione insita nei KOYAü-WE in un progetto architettonico.

Poiché quella Mapuche è una cultura orale e la circolarità dello spazio è la condizione atavica perché qualcuno parli e sia ascoltato dagli altri, la struttura architettonica proposta da ELEMENTAL è a pianta circolare, fattore che garantisce neutralità e assenza di gerarchia nel posizionamento di ognuno al suo interno. E’ orientata verso est e si sviluppa verticalmente in modo tale da essere ben visibile. E’ fatta per durare, per questo sono stati utilizzati alberi e non legna per costruirla. Aspira ad avere un certo grado di universalità ed essere utilizzabile e applicabile non solo a quello Mapuche-Cileno ma anche a tutti gli altri conflitti nel mondo[21].

Testi e immagini di Chiara Trivelli


[1] https://www.labiennale.org/it/news/premi-della-17-mostra-internazionale-di-architettura

[2] https://raumlabor.net/instances-of-urban-practice/

[3] ibidem

[4] Biennale Architettura 2021 – How will we live together,a cura di Hashim Sarkis, catalogo ufficiale della mostra, La Biennale di Venezia, Venezia 2021, p.159.

[5] ibidem

[6] https://raumlabor.net/instances-of-urban-practice/

[7] ibidem

[8] ibidem

[9] ibidem

[10] ibidem

[11] Cfr. ibid.

[12] http://www.mirallestagliabue.com/studio/

[13] Cfr. video-intervista in https://www.labiennale.org/it/architettura/2021/emerging-communities/miralles-tagliabue-embt

[14] ibidem

[15] ibidem

[16] https://www.archweb.it/master_plan/master_plan.htm

[17] https://www.labiennale.org/it/architettura/2018/partecipanti/benedetta-tagliabue-miralles-tagliabue-embt

[18] Cfr. video-intervista in https://www.labiennale.org/it/architettura/2021/emerging-communities/miralles-tagliabue-embt

[19] Cfr. http://www.mirallestagliabue.com/exhibition/living-whithin-a-market-biennale-architettura-2021/

[20] Cfr. https://www.noemamag.com/unspeakable-certainties/ e Biennale Architettura 2021 – How will we live together,a cura di Hashim Sarkis, catalogo ufficiale della mostra, La Biennale di Venezia, Venezia 2021, p.229.

[21] Cfr. video-intervista in https://www.labiennale.org/it/architettura/2021/emerging-communities/elemental

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