I Marconi a Milano. Tre generazioni al servizio dell’arte, 2020
I Marconi a Milano. Tre generazioni al servizio dell’arte.
di Edoardo Pilutti
Su appuntamento telefonico, vengo accolto dal gallerista Giò Marconi nel suo studio in zona Porta Venezia, nel centro di Milano. Vengo colpito dall’insieme di umiltà e padronanza di sé con cui mi riceve nella sua nuova sede inaugurata nel 2015, ristrutturata da Kuehn Malvezzi, studio di architettura particolarmente focalizzato sugli spazi d’arte, che a Kassel, nel 2002, aveva progettato l’allestimento di Documenta XI.
Alle pareti le opere di un giovane Mario Schifano, smalti su carta intelata eseguiti fra il 1959 ed il 1962, dopo essere uscito da un periodo informale; e anche dei disegni.
Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta altri artisti praticarono la pittura monocroma, da Fontana a Castellani, da Piero Manzoni a Yves Klein.
Ma la superficie dei quadri di Schifano, dipinta con smalti industriali, colori accesi privi di sfumature, possiede un rimando alle lastre fotografiche, alle pellicole su cui si svilupperà una nuova immagine.
La mostra, curata da Alberto Salvadori in sinergia con l’Archivio Mario Schifano, s’intitola QUALCOS’ALTRO, alludendo alla futura concretizzazione delle immagini più note dell’artista (Homs, Libia, 1934 – Roma, 1998) che, trasferitosi al seguito della famiglia in Italia nel 1946, da giovanissimo lavorò come assistente del padre, archeologo e restauratore al Museo etrusco di Villa Giulia a Roma.
Fino a qualche anno fa la tua galleria condivideva gli spazi con la Fondazione di cui tuo padre era presidente: come è maturata l’idea di trasferirti in una collocazione separata, sia pure vicina?
“Mio padre aveva bisogno di più spazio per le sue esposizioni. In questa mia nuova sede, in via Tadino al 20, fino a circa sei anni fa c’era la galleria Zero che si è trasferita. Prima ancora, negli anni Settanta, mio padre la usava come deposito delle opere; aveva qui anche un juke-box che faceva suonare nelle feste che dava dopo le inaugurazioni nella sede storica”.
Come è maturata la tua passione per l’arte contemporanea e quando hai deciso di farne una professione?
“Ci sono nato dentro, ci sono cresciuto: inizialmente avevo sviluppato anche un interesse per la fotografia”.
Tuo padre iniziò l’attività, molto giovane, al seguito di suo padre, tuo nonno Egisto, artigiano: creava le cornici per i dipinti anche di grandi artisti. Cosa l’avrà spinto ad aprire una galleria?
“Studiava medicina, era figlio di un artigiano che gestiva un laboratorio dove si facevano le cornici per i de Pisis, i Sironi, i Morandi.
La galleria l’ha aperta nel 1965, mantenendo aperto il laboratorio di suo padre Egisto Marconi: voleva coinvolgere la gente nella sua passione per l’arte, per la pittura.”
Qual è stata la funzione della galleria e poi della fondazione nel panorama dell’arte milanese e italiana?
“Forse quella di divulgare l’eccellenza degli artisti contemporanei italiani, allora giovani, come Adami, Arnaldo Pomodoro, Lucio Fontana, Gianni Colombo, Di Bella, Paolini, Schifano, Tadini, Uncini ; anche Rotella, che però fu un incontro tardivo, a fine anni Settanta. Tra i giovani di allora c’era anche Hsiao Chin, un astrattista nato a Taiwan che però si era da tempo stabilito a Milano, tanto da aver presentato Nanda Vigo a Piero Manzoni.
Un artista presentava l’altro: ad esempio Valerio Adami ha presentato a mio padre Emilio Tadini.”
Tuo padre Giorgio ti ha mai raccontato qualche aneddoto sull’incontro con qualche pittore o scultore?
“Legato a Schifano va ricordato un episodio. Quando morì mio nonno Egisto, Mario Schifano arrivò in automobile da Roma con una cinepresa con cui girò un film in bianco e nero che iniziando con le riprese della periferia milanese, immortalò i funerali di mio nonno. Era il 1969.”
Cosa e come ti ha insegnato del mestiere di gallerista?
“Ho imparato da lui semplicemente ascoltando come parlava con gli artisti, anche quando venivano ad incontrarsi con lui, a mezzogiorno, e poi andavano a pranzo. Mi ha insegnato molto ascoltarlo quando c’erano trattative con i clienti e quando c’erano accordi da prendere con i curatori.”
Tuo padre si è occupato di pittori prevalentemente italiani, molti dei quali, se ancora viventi sono vicini ad oltre gli ottant’anni. Tuo padre, essendo vicinissimo ai novanta, ha passato a te la presidenza della Fondazione. Ne proseguirai il programma in tal senso?
“In parte sì. Ora la fondazione è chiusa per le disposizioni governative emesse per arginare la pandemia: siamo costretti ad una forte limitazione dell’affluenza di pubblico, ovviamente anche di quello internazionale. C’è però un progetto su una grande mostra di Gianni Colombo, a cura di Marco Scotini, che abbiamo dovuto rinviare all’anno prossimo, causa pandemia.”
La mostra attuale nella galleria GiòMARCONI, inaugurata lo scorso gennaio, riaperta su appuntamento da maggio per l’allentarsi dell’emergenza sanitaria, e prorogata fino al 24 luglio, riguarda Mario Schifano, uno degli artisti curati da tuo padre. Si tratta di un avvicinamento casuale?
“In effetti due anni fa c’era stata in fondazione una mostra di Mario Schifano: ho in programma di unire gli artisti storici presentati da mio padre con quelli giovani della mia galleria, alternandoli. L’avevo già fatto anche per le plastiche prodotte a fine anni Sessanta da Enrico Baj.
Avevo programmato qui una mostra per Grazia Toderi e una per Enrico David, scultore presentato al Padiglione Italia dell’Arsenale, all’ultima Biennale di Venezia. Ma ora c’è un impedimento per la frequentazione da parte del pubblico, in particolare di quello che viene da tutto il mondo.”
Qual è il senso dell’arte, il suo significato più profondo, e qual è il suo ruolo sociale?
“Dovrebbe aiutare a far pensare la gente. Ma il problema dell’arte è che è diventata un valore finanziario, è diventata succube della finanza. Per molti collezionisti tutto ruota attorno al valore monetario, anziché attorno al significato delle opere.”
Hai delle letture preferite, un genere cinematografico che prediligi, un genere musicale?
“L’elettronica per la musica: mi piace in particolare la banda inglese dei Depeche Mode. Per i libri m’interessano i romanzi: sto leggendo Le particelle elementari, scritto da un francese, Michel Houellebecq.”
Un autore controverso, cinico, spesso sgradevole, definito anche nichilista, ma sorretto da un anelito irrinunciabile, dall’energia del desiderio che “di per sé è fonte di sofferenza, di odio e di infelicità.” Nei suoi romanzi c’è sempre un corpo a corpo con la questione del senso della vita e della felicità. Osservando una piccola scultura posta sul tavolino e attorniata da vari cataloghi e saggi, capisco perché Houellebecq sia uno degli scrittori preferiti di Giò: il bronzo patinato, opera dell’olandese Atelier Van Lieshout, rappresenta un albero dai cui rami spogli e contorti pendono da un lato un’altalena per bambini e dall’altro un impiccato. Dalla spensieratezza della fanciullezza al mistero della morte.
testo e fotografie di Edoardo Pilutti edoardo.pilutti@gmail.com
GiòMARCONI – Via Tadino,20 20124 Milano tel. 02.29 404 373
info@giomarconi.com
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