Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea Roma/02
Antonietta Raphaël
Attraverso lo specchio
di Edoardo Pilutti
Un’ampia esposizione allestita alla Galleria Nazionale in Roma riguarda una grande artista donna del Novecento: “Antonietta Raphaël. Attraverso lo specchio”.
Si tratta di una retrospettiva, curata da Giorgia Calò e Alessandra Troncone e promossa in collaborazione con l’Istituto Lituano di Cultura e l’Ambasciata di Lituania in Italia, che racconta la poliedrica vita artistica e personale della cofondatrice della Scuola Romana (a cui ha dato vita nel 1928, assieme al marito Mario Mafai e a Scipione alias Gino Bonichi) attraverso dipinti sculture, opere su carta, ma anche documenti, fotografie di famiglia, lettere e pagine dei suoi diari.

La seconda parte del titolo, “Attraverso lo specchio”, allude all’attitudine della pittrice e scultrice a trasformare l’attività creativa in uno strumento di indagine sul proprio mondo interiore, ed evoca dimensioni oniriche e immaginifiche in cui la figura femminile è protagonista. In esposizione c’è un quadro dipinto fra il 1961 ed il 1963, intitolato “L’immagine nello specchio” che è emblematico di quella attitudine.
Lo specchio, inteso inoltre come metonimia di autorappresentazione e autoanalisi, è il filo conduttore di un percorso che esplora la vasta produzione di Antonietta Raphaël.

L’artista ha prodotto dipinti e sculture su vari temi: sull’autoritratto, strumento per riflettere intorno alla propria identità; come sulla femminilità e sulla maternità. A tale proposito va ricordata la scultura Le tre sorelle, ispirata dalle sue figlie: un primitivismo ancestrale, quasi misterico, si può rilevare in questo bronzo. Le tre fanciulle, nude, in un involucro ruvido con l’apparenza del non finito, fanno pensare a delle statue votive, in posizioni erette e con gli occhi socchiusi. L’opera era stata donata dall’artista al Museo della Shoah in Roma, a memoria di tutte le bambine deportate ed assassinate nei campi di sterminio nazisti durante la Seconda guerra mondiale.
Altri temi del suo lavoro sono stati quello dell’ambiente artistico in cui stava vivendo, e quello delle proprie origini ebraiche, col conseguente sviluppo di alcuni episodi biblici, da Genesi alle raffigurazioni di Giuditta e Tamar: donne indipendenti e volitive, capaci di coniugare grazia e bellezza con forza e autoaffermazione, per combattere il potere patriarcale.

Interessanti due dipinti intitolati dall’artista con dei termini psicoanalitici: “Io e i miei fantasmi” del 1961, in cui il significante “fantasma” pare usato proprio secondo la tendenza della psicoanalisi d’avanguardia; si riferisce cioè alle fantasie sorte nell’infanzia che colorano la vita adulta. L’altro è “Poltrona verde: l’incubo” del 1970.
L’allestimento della retrospettiva si intreccia con la struttura aperta della mostra permanente “Time is out of Joint”, stabilendo connessioni con opere e artisti della collezione della Galleria Nazionale e suggerendo nuove letture dell’opera di Antonietta Raphaël .
Ad analizzarne la biografia, quella di un’artista caratterizzata da una concezione vigorosamente antiaccademica, ci si rende conto che la sua è stata una vita all’insegna della libertà e dell’innovazione, ma allo stesso tempo profondamente legata alle proprie radici.
Antonietta nasce in Lituania nel 1895, figlia del rabbino di un piccolo paese vicino a Vilnius. Il padre le morirà nel 1903; quindi, anche per il clima antisemitico fomentato dalla polizia zarista, in tenera età, nel 1905, si trasferisce con la madre a Londra. Qui Antonietta risiede per quattordici anni.
Si diploma in pianoforte alla Royal Academy e vive dando lezioni di solfeggio. Frequenta il British Museum dove pare abbia conosciuto altri artisti, fra cui uno scultore francese di origine russa, di tendenza espressionista.
Dopo la morte dalla madre, avvenuta nel 1919 (Antonietta aveva allora solo ventitré anni) si trasferisce a Parigi e nel 1924 parte per un viaggio solitario senza meta: giungerà a Roma con l’intenzione di proseguire per la Grecia o per l’Egitto. Ma la capitale italiana, con i suoi colori mediterranei, la terrà avvinta.
Nel 1925 frequenta l’Accademia di Belle Arti, conosce Mario Mafai e si lega a lui in un lungo sodalizio. Dalla loro unione nascono tre figlie: Miriam nel 1926, scrittrice, giornalista, compagna fino alla morte del politico Gian Carlo Pajetta; Simona nel 1928, senatrice, scrittrice, attiva nel movimento delle donne; e Giulia nel 1930, scenografa e costumista (che è stata l’ideatrice e la promotrice dell’attuale retrospettiva alla Galleria Nazionale).

Nel 1929 esordisce alla I Esposizione Sindacale del Lazio, con segnalazione di Roberto Longhi. Nel 1930 va a Parigi col marito dove incomincia la sua ricerca artistica per mezzo della scultura. Nel 1932 a Londra incontra Jacob Epstein. Si stabilisce definitivamente a Roma dove inizia la “Fuga da Sodoma”, ospite per il suo lavoro presso lo studio dello scultore Ettore Colla, per un anno; tra il 1936 e il 1938 è presente alle Esposizioni Sindacali, lavorando in solitudine. Le sue opere denotano una completa autonomia rispetto agli influssi della scultura italiana di quel periodo: in esse, invece, si possono riscontrare riferimenti allo stile di Émile-Antoine Bourdelle.
A causa delle leggi razziali fasciste, nel 1938 si rifugia a Genova, col marito e le figlie; il nucleo familiare è protetto ed aiutato dagli amici e collezionisti Emilio Jesi e Alberto Della Ragione.
Negli anni dell’occupazione nazista del nord Italia e della Repubblica di Salò (durante la Seconda guerra mondiale, dal 1943 al 1945), la Raphaël rientra a Roma con la figlia Giulia, per tornare nuovamente, dopo la Liberazione, ad operare a Genova con un gruppo di scultori della vecchia generazione, artisti peraltro non accomunati dallo stesso linguaggio artistico. Raphaël prediligerà l’arcaismo, nel suo soggiorno genovese.

Nel 1948 partecipa alla Biennale di Venezia, finalmente, dopo aver passato un pesante periodo di ristrettezze economiche. Dal 1952 la critica incomincia ad apprezzare appieno la sua opera e viene allestita un’importante antologica alla Galleria dello Zodiaco di Roma.
Nel 1956 vince un premio acquisto alla quarta edizione del Premio Spoleto. Sempre nel 1956 compie un viaggio in Cina, dove con Aligi Sassu, Giulio Turcato, Agenore Fabbri, Tettamanti, Zancanaro: espone a Pechino e successivamente in molte collettive in Europa, Asia e America.

All’VIII Quadriennale di Roma del 1959-1960, dedicata alla Scuola romana vengono presentati al grande pubblico molti suoi lavori, ponendola definitivamente fra i maggiori esponenti di quel gruppo: negli anni successivi la Raphaël si dedica quasi esclusivamente alla scultura, tralasciando sempre più il lavoro pittorico, anche per evitare la competizione col marito Mario Mafai.
Morirà a Roma nel 1975.
Diversi critici e storici dell’arte hanno dedicato approfonditi studi al lavoro di Antonietta Raphaël, e tutti sono concordi nel considerarla come vera anticipatrice, antesignana e madre di movimenti artistici più recenti, come la Transavanguardia.
fotografie di Edoardo Pilutti edoardo.pilutti@gmail.com
Antonietta Raphaël. Attraverso lo specchio
dal 17.11.2021 — al 30.01.2022
dal martedì alla domenica ore 9 -19
Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea
Via delle Belle Arti, 131 00197 ROMA
lagallerianazionale.com tel. (0039) 06 32298221












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Non conoscevo questa artista.
Trovo le sue opere belle ed emozionanti, traspare in esse un velo di tristezza.